“Il giovane senza nome”. Capitolo 5.

“Il giovane senza nome”. Cap. 5

In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©

A mia madre

Capitolo 5

Gutierrez non si era perso d’animo e anche se aveva delle fitte allo stomaco e pioveva senza tregua tentava di raggiungere qualche luogo abitato. Non poteva orientarsi. Quei contadini lo avevano lasciato in piena campagna bendato. Vedeva solo terre e terre allagate dalla pioggia e niente altro. Nessun segno di vita: un campo coltivato, un vecchio attrezzo da lavoro lasciato per caso nella terra, nulla indicava che vi fossero persone.

Non la paura, la fame o la pioggia gli causavano quei dolori ma la violenza dei contadini. Era abbastanza vecchio da aver visto ingiustizie ben più crudeli, a Parigi aveva rischiato il rogo se qualcuno non lo avesse salvato e gli eventi non avessero avuto un decorso straordinario ma ancora la violenza fisica o ai srntimenti lo feriva moltissimo. Aveva compreso di aver rievocato ad Isabella tutto un mondo passato ma non morto e si rimproverava di averlo fatto. Aveva facilmente capito la sua ira ed immaginava il suo pentimento. Provava compassione per quella donna ed ammirazione per la vitalità del suo antico amore. Mentre Gutierrez si andava inoltrando in questi ragionamenti apparve un giovane che gli puntò un arco e una freccia proprio nel petto.

“Abbiate clemenza!” gridò Gutierrez.

Il giovane restò immobile.

“Non sono un nemico ma un poeta spagnolo e ho appena concluso una missione per una fanciulla di grande anima”

Il giovane non mutò atteggiamento quasi fosse sordo e Gutierrez, esperto di armi anche se di natura pacifica, si avvide che la mira era perfetta.

“Non avete dunque mai conosciuto l’incomprensione ?!” gridò d’istinto Gutierrez.

Il giovane abbassò l’arco e lo guardò. I due restarono incerti. Gutierrez vide che il giovane poteva avere l’età di Vereda, che era assai bello, aveva capelli biondi, occhi chiari. Indossava un severo abito grigio, inadatto alla sua giovinezza. Ma soprattutto Gutierrez notò che il giovane stava tremando. Era sotto la pioggia battente ma lo spagnolo pensò che tremasse più per la paura che per la pioggia.

“Il mio nome è Francisco Gutierrez” disse ma il giovane si era già voltato e si stava allontanando. Gutierrez lo raggiunse e disse: “Aiutatemi! Non so dove andare e ho fame”

“Seguitemi, Messere” rispose il giovane con voce flebile.

Camminarono un po’ e raggiunsero un boschetto molto bello, celata a ogni sguardo vi era una bellissima capanna di paglia e legno, ben costruita e solida.

“Qui vivo e se lo desiderate potrete abitarci anche voi finché vorrete” disse il giovane.

“Vi ringrazio” rispose Gutierrez.

“Ma sappiate che se mi tradirete vi ucciderò” disse il giovane.

“Già troppi purtroppo uccidono nel modo” disse Gutierrez “Non potremmo esser noi tra quelli che lietamente vivono e lietamente lasciano vivere ?”

“Vedo che siete un saggio” osservò il giovane tremante.

“E voi un mendace, sono certo che non avete mai ucciso nessuno”

“É vero”

“Ma non mi avete ancora detto il vostro nome”

“Mi chiamo Giovanni”

“Bene, Messer Giovanni, sono felicissimo di fare la vostra conoscenza”

Il giovane ebbe un sorriso ed entrò nella capanna. Gutierrez lo seguì e con grandissima meraviglia vide che all’interno vi era tutto ciò che può rendere amabile la vita di un uomo amante delle arti: molti libri, occorrente per scrivere, uno strumento d’Arabia finemente decorato e simile ad un liuto. Vi era cibo in quantità, caraffe di vino, frutta di ogni tipo, un tavolo, alcune sedie e un ampio pagliericcio.

Messer Giovanni riempì una scodella di zuppa di pesce e Gutierrez, sentendone il profumo, provò nostalgia:

“Da bambino vivevo in una città sul mare” disse.

Giovanni tagliò il pane.

“Era una città bellissima.. .Iaggiù in Spagna”

Il giovane liberò il tavolo di alcune carte musicali con note aguzze color amaranto.

“Siete un musicista ?”

“No, mi piace la musica”

“Io conosco un eccelso liutista, forse lo conoscete di fama, Miguel di Toledo…”

“Da tempo non vivo nel mondo” rispose laconicamente il giovane.

Gutierrez iniziò a mangiare avidamente e accettò il vino che il giovane gli offriva. Non solo la zuppa era eccelsa ma il vino lo sorprese. In nessun luogo Gutierrez ne aveva assaggiato di così buono. Avrebbe avuto voglia di far mille domande al giovane ma comprese che non era il caso.

“Io dormo lì” disse Messer Giovanni indicando il pagliericcio “se lo desiderate potete distendervi anche voi”

“Vi ringrazio” rispose Gutierrez e finito di mangiare si distese. Il pagliericcio era molto comodo e ben presto crollò in un sonno profondo.

Messer Giovanni uscì dalla capanna.

Madre Isabella aveva ordinato di far cercare Gutierrez ma quando Suor Diletta, la paffuta, le aveva detto senza parole, in un linguaggio di sguardi e gesti che solo Isabella comprendeva, che Io spagnolo era scomparso provò molto dolore. Ordinò che Lapo e gli altri lo cercassero ancora e decise di recarsi nella cella di Vereda. Si sentiva colpevole verso la fanciulla. Mai Isabella visitava le sue Figlie e questo privilegio causò molte gelosie in convento.

“Che accade, Madre ?” domandò Vereda che era assorta a guardare la pioggia torrenziale.

“Nulla. Perdonatemi, diletta Figliola, se vi ho interrotta nelle vostre preghiere”

“Non stavo pregando ma solo guardando il cielo” rispose Vereda.

Isabella tacque.

“Come sta il mio servitore ?”

“Bene. Non temete per la sua vita. Un medico del luogo lo ha visitato e ha detto che non corre pericoli. Mangia in abbondanza e dorme” mentì Isabella.

“Vi ringrazio, Madre” disse Vereda con uno slancio di affetto ed Isabella provò ancora più rimorso. Era disavvezza ad ogni manifestazione d’affetto da quand’era adolescente e non si ricordava più che cosa fosse la gratitudine. Tanti anni in convento l’avevano abituata a celare ogni suo stato d’animo, appariva sempre eguale come gli attori sulla scena anche se nell’anima sua si svolgevano grandi guerre.

“Se fossi veramente cristiana dovrei chiedere perdono a Vereda” pensò Isabella uscendo dalla cella.

Vereda scoppiò in lacrime. Era felice per Gutierrez ed aveva nostalgia di Miguel.

A Toledo lei e il fratello avevano ordito un piano segreto che avevano nascosto a Gutierrez. Appena Vereda avesse saputo dove il poeta l’avrebbe condotta lei avrebbe dovuto mandare una lettera a Miguel. Poco dopo il falso rapimento Miguel era partito per Firenze e lì aspettava il messaggero alla ‘Locanda dei Tre Orsi’. Gutierrez aveva infatti rivelato di voler nascondere Vereda in Italia.

A Napoli, dopo un lungo colloquio tra Gutierrez e Matteo L’Alchimista, Gutierrez aveva rivelato a Vereda di volerla nasconderla nel convento delle Pie Dame, a metà strada tra Napoli e Roma.

Vereda aveva scritto a Miguel e aveva affidato la lettera al miglior messaggero napoletano, Corrado Antico. Tuttavia qualcosa non aveva funzionato. Miguel aspettava il messaggero e Vereda attendeva che Miguel venisse a liberarla dal convento.

Una sera Gutierrez mentre arrostiva carne sul fuoco nel boschetto e Giovanni pizzicava lo strumento simile al liuto che aveva un suono soave Gutierrez disse:

“Messer Giovanni, voi mi avete accolto con bontà e mi trattate con ogni gentilezza…io vi ho raccontato la mia missione e di come si sia felicemente conclusa ma voi non mi avete detto nulla della vostra vita”

“La vostra storia di Toledo mi ha commosso” disse Giovanni “Auguro ogni bene a quella fanciulla e a suo fratello e ho una gran voglia di vedere i luoghi di cui mi avete parlato: Firenze, Napoli e Toledo, Parigi e quella città, Londinium, le rive del Nilo e i paesi del nord. Non vi è terra in cui non avete viaggiato Gutierrez”

“Vi ringrazio, Messer Giovanni, ma non mi avete raccontato nulla di voi” insistette Gutierrez.

“Amico” esordì Giovanni con garbo e mestamente “voi sapete molte cose che i mortali ignorano, la filosofia degli antichi e le nuovissime scienze ma non avete ancora appreso l’arte del silenzio e del non domandare” 

“Avete ragione, amico” ribatté Gutierrez lievemente offeso “Mi invitate ad essere più discreto, tuttavia toccate un mio punto debole: sappiate che molti anni fa a Parigi…”

Gutierrez si interruppe di colpo.

“A Parigi ?”

“Non era importante” rispose lo spagnolo.

“Si dice che vi siano le donne più belle” disse Giovanni.

“Senza alcun dubbio. Quella città è funesta per un uomo e Amore vi ha fatto la sua dimora. Voi sapete che anche Abelardo si innamorò della dottissima Eloisa in quella città e L’Amore è un inganno !” esclamò vivacemente Messer Giovanni.

“Che può sapere dell’amore questo fanciullo ?” pensò Gutierrez.

” È un trucco del Diavolo, una sfortuna, una menzogna !” disse Giovanni e abbandonò lo strumento misicale per alzarsi e versare del vino. Lo offrì a Gutierrez e poi lo versò per lui.

“Voi vedete troppo nero, Messere ” rispose Gutierrez sorridendo, accettando il bicchiere di vino “l’amore può rendere lieta la nostra vita”

“O molto triste” aggiunse Giovanni.

Gutierrez si turbò. Chi era dunque Giovanni ? Come mai era colto e sapiente ? Che cosa sapeva dunque dell’amore ?

“Il vostro vino è il migliore che io abbia bevuto” disse Gutierrez.

“Vi ringrazio”

“Ma dove lo prendete ?” 

Giovanni non rispose.

“Non volete dirmelo ?”

Giovanni si allontanò nel boschetto.

“Che maniere !” pensò Gutierrez “questo fanciullo è saturnino, dapprima ride e mi è amico poi diventa freddo e taciturno… sembra un nobile signore”

Qualche ora dopo mentre Gutierrez era quasi addormentato sul pagliericcio Giovanni entrò nella capanna. Non aveva cenato con Gutierrez ed era scomparso nel boschetto. 

“Dormite ?” chiese sommessamente “Perdonate la mia villania “disse appoggiando lievemente la mano sul braccio di Francisco.

Gutierrez si volse e s’avvide che il fanciullo aveva gli occhi colmi di lacrime.

“Ma voi non mi avete fatto nulla di male!” esclamò.

“Gli astri mi hanno donato questo temperamento che rende così difficile la vita con altri uomini ed io stesso ne subisco le conseguenze”

“Ma gli astri vi hanno anche donato bellezza e coraggio, voi siete fortunato tra i mortali” rispose Gutierrez.

INDICE:

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

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