“Il giovane senza nome”. Cap. 9
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 9

Madre Isabella indossò il mantello scuro. Con cura lo aggiustò e lo chiuse. I suoi gesti erano rapidi, decisi, sicuri di sè tanto che Suor Diletta a cui Isabella stava impartendo le ultime istruzioni su che cosa fare in sua assenza, la guardava come incantata. Non l’aveva mai vista così alterata: lo sguardo era inaccessibile a chiunque, ogni traccia di sottomissione era svanita.
Nel frattempo al convento la voce si era diffusa in un lampo: Madre Isabella esce. Tutte le Pie Dame erano state colte da smarrimento, un paio di loro avevano chiesto alla superiora il permesso di poterla accompagnare anche se nessuna sapeva dove volesse recarsi, Isabella aveva rifiutato. Aveva fatto ordinare a Lapo di sellare i due cavalli degli spagnoli, gli unici rimasti dopo i furti di Agnolo.
La scomparsa di Vereda aveva provocato sentimenti diversi tra le suore: molte si erano affezionate a lei ed avevano pianto la sua scomparsa, Isabella erano invece stata colta da una rabbia violenta verso Antoniazzo. Era certa che fosse stato lui a tramare e far eseguire il rapimento dopo quello che era successo al convento durante la sua recentissima visita. La paffuta invece non aveva provato dolore, Vereda le era stata antipatica fin dal primo istante.
Isabella provava anche una grandissima colpa per quello che era accaduto. Il giorno prima era stata lei a concedere, del tutto sventatamente, a Vereda il permesso di uscire brevemente , Vereda desiderava andare a salutare i cavalli , aveva molto insistito ed Isabella non aveva più la fermezza di prima. Conscia di aver cacciato crudelmente Gutierrez aveva acconsentito all’innocente richiesta della ragazza.
Avevano cercato Vereda ovunque ma era scomparsa. Solo Agnolo poteva essere stato tanto abile ed infido ! Isabella non ebbe incertezze, sapeva i rischi che ciò che stava per fare comportava ma era ben decisa a ritrovare la fanciulla.
Lapo stava finendo di sellare i cavalli quando Madre Isabella uscì dal convento. Aveva lasciato la direzione a Suor Diletta in sua assenza. Le suore, affacciate alle strette finestrelle, videro andar via la loro superiora, senza neppure un attimo di dubbio o un rallentare del passo, senza voltarsi indietro. Lapo l’aiutò a salire a cavallo e i due partirono a passo sostenuto. Le fanciulle guardavano Isabella allontanarsi come si guarda un soldato che va alla guerra. Persino Lapo che di solito non ragionava molto era stupito, quando si accorse che Isabella era diretta al castello fu colto da una paura folle e avrebbe avuto voglia di girare il cavallo e fuggire. Nessuno aveva mai osato andare al castello se non vi era stato costretto con la forza e a San Leone si diceva che il feudatario vi conducesse una vita sfarzosa e lussuriosa.
Quando i due soldatacci di guardia, con i mantelli gialli e scarlatti e le lance, videro arrivare una suora e un contadino non credettero ai loro occhi.
“Fateci entrare !” esclamò Isabella in modo così imperioso che un soldataccio corse dentro al castello a chiedere ordini e poco dopo tornò: il Signore aveva detto che la suora poteva entrare ma il contadino no.
Lapo tirò un sospiro di sollievo. Isabella aveva previsto un simile ricatto ma non voleva mostrare alcuna incertezza e con gran tranquillità varcò il portone. I soldatacci e i servitori la osservavano come se fosse stata una creatura di un altro mondo. Un servo le fece strada per molte stanze. Anche Isabella come i paesani aveva immaginato il castello lussuoso e ricco, con mobili dipinti e pregiatissimi arazzi ed invece tutte le vaste stanze erano vuote. In confronto era stata molto più sfarzosa la casa a Siena in cui Isabella era cresciuta.
Finalmente il servo si fermò alla soglia di un salone grandissimo, disadorno, e si inchinò ad Antoniazzo che era seduto su un’ampia seggiola, su un panchetto più basso sedeva una fanciulla bionda di stupefacente bellezza e aveva appoggiato in grembo un libro aperto, un giovinetto pizzicava le corde di uno strumentino che dava un suono squillante. Un gran camino era acceso e Antoniazzo, che sembrava impietrito, pareva aver molto freddo perché nonostante il calore che il fuoco sprigionava aveva una pelle d’orso appoggiata sulle gambe e sui piedi. “Dove è Suor Amata ?” chiese con forza Isabella.
Antoniazzo fece cenno al musico di smettere di suonare ed egli fece tacere lo strumento, simile ad una piccola cetra greca.
“Non vi ho sentito, Madre Isabella” disse il feudatario.
“Dove è Suor Amata ?”
“Chi ?” chiese stupito il feudatario.
“La fanciulla spagnola”
“Quale spagnola ?”
“Non mentite ! Voi l’avete fatta rapire !”
“Non vi capisco, Madre Isabella”
La fanciulla bionda e il musico erano pallidissimi.
Isabella li guardò e la fanciulla accennò un sorriso.
“Se avete fatto fare del male alla mia Figlia amatissima…” incominciò a dire Isabella ma non osò continuare la minaccia.
Antoniazzo urlò e gettando a terra la pelle d’orso si alzò in piedi.
“Ma chi è codesta spagnola ?”
“Colei che voi avete fatto rapire ieri” rispose Isabella.
Una luce sinistra si accese negli occhi di Antoniazzo che dimentico del suo vezzo di guardar di sbieco fissò Isabella.
“Quella serpe ! Volete dire quella fanciulla presuntuosa ed arrogante che osò dirmi cose ignobili al convento ?” chiese Antoniazzo.
“Siete stato voi ad essere ignobile” rispose Isabella .
La paura che aveva provato durante il tragitto era svanita, la sottomissione che si deve a un potente anche. E la sottomissione che una donna deve ad un uomo, come le avevano insegnato da bambina, era andata in frantumi. Ora Isabella sosteneva lo sguardo di Antoniazzo e fu il feudatario ad abbassare gli occhi per primo e a voltarsi come smarrito, inerme. Egli sentiva che il suo potere era finito: Isabella non aveva paura e il potere dei tiranni si basa sulla paura.
“Quella fanciulla scortese, la spagnola, sarebbe una sventura per qualunque uomo, la sua disgrazia” mormorò Antoniazzo.
“Dove l’avete nascosta ?”
“Io non faccio rapire suore altrimenti…” per quanto alterato Antoniazzo non finì la frase la quale sarebbe stata “altrimenti il vescovo Clemente non mi darebbe più la sua protezione”.
“Io non so nulla..” disse “farò cercare la fanciulla, troverò il colpevole, pagherà il suo affronto” aggiunse.
“Se entro questa sera Suor Amata non sarà al convento domani partirò per Roma” rispose Isabella. Per un momento aveva avuto il vago dubbio che Antoniazzo potesse essere stato sincero. Detto questo voltò le spalle al tiranno e uscì dal vastissimo salone.
“Isabella…attendete…vi prego” mormorò debolmente Antoniazzo ma Isabella attraversò le vaste stanze del castello per arrivare al portone.
Tutti i servitori che incontrava si inchinarono al suo passaggio.
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