“Il giovane senza nome”. Cap. 12
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 12

A lungo Isabella e Padre Modesto furono lasciati in una stanza grande e disadorna, seduti su una panca. Al muro vi erano delle lance, un caminetto era acceso, ogni tanto un servitore vi buttava dei ciocchi di legna: i due non parlavano. Isabella era chiusa in un gran silenzio e Padre Modesto non osava dire niente, mormorava preghiere e leggeva un breviario da cui non si separava mai.
Servi, uomini sconosciuti ed Agnolo entravano ed uscivano da una porta massiccia che evidentemente era quella della camera di Antoniazzo. Vi era tuttavia un silenzio spettrale e solo i passi pesanti degli uomini rompevano il silenzio.
Infine Agnolo venne a dire che solo la Isabella poteva entrare e che il prete doveva attendere. Padre Modesto ebbe un gemito ma non disse una parola, aveva il terrore di perdere l’anima di Antoniazzo e si rimise a leggere il breviario per placare la sua inquietudine.
Quando Isabella entrò si trovò in una stanza immensa e disadorna, il lusso sfrenato di Antoniazzo era dunque una leggenda. Ai muri erano appesi i ricami che Antoniazzo aveva fatto rubare al convento nel corso del tempo. Il feudatario era nel suo gran letto, sotto tre pellicce di orso e gli occhi esprimevano un terrore eloquente.
“Isabella…” mormorò con deferenza.
“Signore”
“Siete stata molto buona a venire a trovarmi per l’ultima volta”
Isabella non rispose perché sentì una vaga compassione.
“Il nostro ultimo incontro è stato tumultuoso” aggiunse con fatica Antoniazzo.
“Si, Signore”
Egli tacque come se la mente vagasse per conto suo chissà dove e dopo un po’ aggiunse:
“Nessuno al mondo aveva osato parlarmi come voi avete fatto quel giorno quando siete venuta al castello per la ragazza spagnola”
Isabella guardò gli occhi da serpente di Antoniazzo colmi di paura, i capelli artefatti, la barba non rasata e non rispose.
“Io feci distruggere il convento” disse dopo un lungo silenzio il feudatario.
“Lo so”
“Io pagai il giudice” proseguì Antoniazzo faticosamente.
Isabella tacque.
“Io vi ho odiata” disse Antoniazzo.
“L’odio non dovrebbe trovare albergo nei nostri cuori” disse Isabella e provò commozione.
Antoniazzo agitò la mano piena di anelli e disse ansiosamente:
“Voglio dirvi che non so dove sia la spagnola…io non l’ho fatta rapire… da tempo Agnolo la va cercando in tutte le contrade senza trovarla…” “Perché la fate cercare?” chiese Isabella.
“Per darvi la prova che sono innocente e perché so che volete bene a quella piccola spagnola”
“Vi ringrazio” sussurrò Isabella.
Antoniazzo tacque, sembrò che si fosse assopito. Isabella provò dolore per quell’uomo. Ogni risentimento era svanito, lo aveva perdonato, da quando aveva visto la sua paura un sentimento nuovo si era fatto rapidamente largo in lei, un sentimento che mai avrebbe creduto un giorno di provare e riconobbe che era affetto.
“Credete che esista il mondo dei morti? ” chiese, dopo una lunga pausa, il feudatario.
“Certo”
“Io no…”
Isabella ebbe una lieve vertigine.
“Ognuno aveva la sua parte…” disse Antoniazzo lentamente “io recitavo quella del malvagio e solo Dio sa quanto l’ho recitata bene…ho avuto il potere ma esso non può impedire alla morte di. . .ho avuto la ricchezza ma ora a che cosa mi serve? E, perdonate, ho avuto tutte le donne che ho voluto…meno una” Isabella tacque.
“Voi avevate la vostra parte…una donna altera, inaccessibile, fedelissima alla Chiesa ma io so. . ..io so che voi avete un cuore buono… vostro padre Tommaso Corriventi volle la vostra condanna…ma voi Isabella eravate fatta per sposarvi, avere dei figlioli…”
Isabella lo ascoltava turbata.
“Io vi avrei sposata, Isabella, ma ci siamo incontrati sul teatro del mondo troppo tardi…io ero già io e voi eravate già voi…”
Isabella pianse, sommessamente.
“E poi voi non mi amavate.. .io so che l’amore è solo un’invenzione dei poeti ma voi amavate un altro…un alchimista che vive a Napoli, che veste abiti variopinti… strano, non mi sovviene il suo nome adesso”
Nella camera cadde il silenzio. Non vi era clessidra e ad Isabella parve un tempo lunghissimo. Ad Antoniazzo no. La loro percezione del tempo non era più la stessa.
“Io vi amavo tanto” disse Antoniazzo a voce bassa.
Isabella abbassò lo sguardo.
Non dissero più nulla perché Agnolo era entrato a portare qualcosa.
“Che malattia avete? ” chiese Isabella.
“Non lo so…nessuno ne conosce il nome”
“Ma deve esserci una cura! “
“Vostro padre avrebbe potuto curarmi” disse Antoniazzo.
Era buio ormai ed alcuni servi accesero le torce.
“Che giorno è oggi?” chiese Antoniazzo.
“Il 17 febbraio, Signore” rispose un servo inchinandosi.
“E’ bello conoscere il giorno della propria morte…ho comprato una tomba in una chiesa di Roma, lo scultore mi ha ritratto molto più bello e dignitoso di quel che sono, sarò un esempio per coloro che verranno dopo di me in questo mondo” disse Antoniazzo con un lampo di cattiveria nello sguardo.
“Perdonate, gran Signore, il medico è arrivato ” disse un servo entrando di gran corsa ed inchinandosi trafelato.
“Un altro inutile medico…Beatrix mi vuole salvare, è già il quarto che fa venire”
Isabella si alzò.
“Restate” disse Antoniazzo ad Isabella e poi al servitore:
“Fallo entrare!”
Un uomo sui quarant’anni, con i capelli a riccioli biondi, gli occhi celesti, un viso aperto e socievole, la barba curata e tra le mani un cofanetto ricoperto da un panno verde entrò.
“Siete il medico?” chiese Antoniazzo.
“Si, Signore, sono Gabriel L’Alemanno, per servirvi con l’aiuto di Dio”
“Dalla lontana Alemannia…” mormorò Antoniazzo.
“Il mio paese è in verità l’Elvezia”
“E perché allora vi chiamate così?”
“Mi chiamavano così quando studiai medicina a Parigi”
Antoniazzo osservò il medico. Egli aveva aperto il cofanetto sul tavolo e con gran cura appoggiava alcune bottigliette profumate di fiori sul panno verde.
“La Signora è Madonna Isabella ” disse Antoniazzo presentandola.
Il medicò sorrise e si inchinò.
Isabella sorrise e chinò il capo.
“Andate, Madonna Isabella, lasciate che questo medico faccia il suo lavoro” disse Agnolo.
Isabella tornò nella camera e disse a Padre Modesto che il medico era arrivato.
“Ma così non riuscirò a benedirlo” disse sconcertato Padre Modesto “il prete è più importante.. .se Antoniazzo non confesserà tutti le sue male azioni finirà di certo all’Inferno!” disse disperato il prete.
“Abbiate pazienza, Padre, Antoniazzo sembra molto cambiato” disse Isabella.
L’attesa sembrò più lunga di quel che fu. Non vi erano clessidre nel castello perché Antoniazzo temeva lo scorrere del tempo e sia Isabella sia Padre Modesto furono colti da una sorta di torpore, la panca era scomoda, Isabella ripensava alle strane parole del feudatario, Padre Modesto vedeva sfuggirgli l’anima e precipitare dal diavolo.
Una bellissima fanciulla attraversò la camera, silenziosamente e si inchinò. Isabella pensò che mai aveva visto una fanciulla più bella, Padre Modesto impallidì intuendo che era Beatrix, l’amante di Antoniazzo di cui si vociferava a San Leone.
Finalmente Gabriel l’Alemanno uscì dalla stanza di Antoniazzo e si avvicinò ai due.
“Per adesso la benedizione non serve, credo” disse serenamente.
“Che dite ?” chiese il prete.
“Il male che affligge il signore di questo castello non è mortale… già il grande Galeno ne aveva osservato i sintomi e descritto in gran parte la cura”
“Ne siete certo?” domandò Isabella.
“Abbastanza, gli effetti della malattia, i suoi occhi, l’aver udito la sua voce mi rassicurano…” rispose Gabriel.
Isabella provò una grande ammirazione per il medico. Non aveva l’arroganza di suo padre e di altri che aveva conosciuto.
“Resterete qui?” chiese il prete.
É necessario, devo seguire il malato ogni momento”
“Che cosa avete in quel cofanetto?”
“Oh, sono le medicine”
Agnolo accompagnò Isabella e Padre Modesto al portone. Due cavalli erano pronti per loro.
“Il gran Signore vi fa dono di questi bellissimi cavalli”
“Che meraviglia!” esclamò il prete che aveva sempre sognato di essere un cavaliere. Ma in sella ai cavalli, nella notte, Isabella e il prete si perdettero. Non riuscivano più a ritrovare il paese. Fu allora che incontrarono un giovane che li avvicinò con grande gentilezza.
“Posso aiutarvi?” chiese.
La sua voce era flebile ed insicura.
“Chi siete?” chiese Padre Modesto.
“Mi chiamo Messer Giovanni”
“Io Isabella”
“Sono lieto di avervi incontrata, Signora” disse lui inchinandosi.
“Anche noi, buon uomo” disse Padre Modesto che già temeva il peggio, rinfrancato dal tono garbato del giovane.
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