“Il giovane senza nome”. Cap. 14
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 14

Appena Giovanni superò la lievissima barriera tra sonno e veglia e si ritrovò di nuovo in questo mondo il cuore tornò a battergli assai forte.
“Che mi succede?”
Comprese che non era nella sua capanna ma su un povero pavimento e coperto da un mantello.
Appena ricordò la notte passata il cuore continuò a battergli più forte.
“Che vuoi cuore?” chiese.
Ma il cuore rispose a modo suo.
Giovanni si sollevò, depose con cura il mantello sulla panca, vide una bevanda raffreddata e si ricordò di essersi assopito prima che Isabella tornasse nella camera.
Era giorno pieno, la luce filtrava dalla piccola finestra e Giovanni s’accorse che vi era una bella luce invernale, tersa, luminosa.
“Vi siete destato, dunque !” esclamò Agnese passando con un cesto di verdure
“Ma voi siete l’angelo !” aggiunse dopo aver ben visto il giovane.
Isabella sorrise.
“Buongiorno, Messere”
“Buongiorno, Signora” rispose Giovanni arrossendo.
“É l’angelo…quello che salvò Meo” disse Agnese poi lasciò la verdura e uscì cantando.
“Avete fame?” chiese Isabella.
“Sì”
Isabella tornò con una scodella di minestra. Giovanni sorrise e prese a mangiare con garbo.
“Perdonatemi, Signora, per ieri notte”
“Di che cosa ?”
“Perdonatemi se sono tornato da voi. Sono stato arrogante con un mio amico ed ero furibondo”
“Non riesco ad immaginarvi furioso”
“Oh, debbo scusarmi con quel mio amico diletto…”
“Non esagerate, Messere, se è un amico diletto vi avrà già perdonato” “Lo spero_
“Di che cosa disputavate ?”
Giovanni arrossì di nuovo ed Isabella cambiò discorso:
“E Il vostro cavallo l’ha preso in custodia Meo”
“Chi è Meo ?”
“Il figlio di Rustico, quel giovane fabbro che mi donò questa casa” “Non lo conosco” disse Giovanni.
“Sovente viene deriso perché parla in modo singolare”
“Volete dire allora quel vile assassino che per due volte attentò alla mia vita !” esclamò Giovanni arrossendo.
“Quando vi aggredì ?”
“L’ultima volta ieri notte”
“Non comprendo la cagione” disse Isabella sorpresa.
“Dice di amare una fanciulla spagnola…”
“Che dite ?! Una fanciulla spagnola ?” lo interruppe Isabella e con gran letizia Isabella seppe che sia Vereda che Gutierrez erano salvi nella capanna dove abitava Messer Giovanni. Giovanni con sommo stupore seppe che la Signora che con tanta benevolenza lo aveva accolto era Isabella, la Madre superiora che aveva fatto cacciare Gutierrez.
Isabella gli raccontò ogni cosa e non tacque la vergogna che ben presto aveva provato nell’aver voluto far cacciare lo spagnolo.
Mai Giovanni si era interessato di Madre Isabella, con distrazione aveva udito i racconti di Gutierrez e Vereda e solo il fatto che avesse fatto quel brutto gesto gli era rimasto impresso, aveva saputo di un processo a Roma che aveva fatto infuriare Gutierrez per il suo verdetto di cui Gutierrez era stato informato per caso da Lapo.
Un mattino lo spagnolo aveva incontrato il suo carceriere, crudele ed ottuso, e questi gli aveva raccontato le ultime novelle.
Lapo non aveva trovato strano riveder lo spagnolo che tanto vanamente aveva cercato tempo addietro, né si era chiesto dove vivesse. Sembrava che le cose scivolassero su Lapo senza mai suscitargli un pensiero.
“Dio vi mandò a salvare Gutierrez e poi Vereda, Messere” disse Isabella.
“Dio non si serve di strumenti come me”
“Per quindici anni mi sono mortificata” disse Isabella “credevo che il disprezzo di sé fosse la via della salvezza così come insegnano molti uomini devoti ma erravo, né le penitenze, né il cilicio portano ad un progresso dell’anima”
Giovanni guardò attentamente Isabella.
“Che cosa porta ad un miglioramento dell’anima ?” chiese tremando.
“Non lo so ancora.. .ma so che Dio ci trova quando ci affidiamo completamente a Lui”
“Non riesco a comprendervi” disse Giovanni.
“Molti vedono in Dio un re ma io penso che sia l’ultimo dei mendicanti.. .ci attende ma senza violenza, come un fratello dolcissimo”
“Come vorrei essere vicino a quell’ultimo dei mendicanti ” sospirò Giovanni.
“Voi avete più fede di me” disse Isabella.
“Io ? Ma che cosa dite, Isabella ? Io sono il peggiore…”
Isabella sorrise: senza volere Giovanni l’aveva chiamata con il suo nome.
“Giovanni, chi vi insegnò tante cose ?”
“Un prete mi rivelò la scrittura, un musico la musica, un atleta l’arte dei movimenti e…mia madre il nome dei fiori e degli animali che popolano la Terra”
“Chi è vostra madre ?”
“É la Dama più bella del mondo” disse raggiante Giovanni “Armonia e Letizia camminano al suo fianco”
“E vostro padre ?”
“Non ricordo” rispose adombrandosi il giovane.
“Mio padre” disse Isabella che aveva compreso lo stato d’animo di Giovanni “era un medico famoso…aveva talento nell’Arte sua ma gli mancava il cuore che vale più del talento”
Giovanni ascoltava incantato.
“Vivevamo a Siena e la casa nostra era rifugio di sapienti e dotti”
“Eravate felice ? ” chiese Giovanni sommessamente.
“Si, lo ero”
Entrambi tacquero.
“Abitate con vostra madre ?” chiese poi Isabella.
“No, da tempo Ella vive in Britannia”
Isabella ascoltava, la sua mano era appoggiata alla guancia e Giovanni in un moto di imbarazzo tacque. Aveva parlato a cuore aperto e solo ora si ricordò che da poco conosceva Isabella e che neppure con Gutierrez si era mai sentito tanto a suo agio.
“La sua bellezza e la sua grazia lo fanno assomigliare ad una fanciulla” pensò Isabella.
“Devo andare a domandar perdono al mio amico” disse Giovanni e si alzò.
“Fu grave la ragione della discordia ?”
“Sì, egli sosteneva che…Amore esiste”
“Diceva il vero”
“No. Amore è un’illusione, un puro inganno, truffatore e mendace”
“No, Giovanni ” disse seria Isabella “non avete letto che è scritto: forte come la morte è solo l’amore ?”
“Sì, conosco le Scritture ma.. .vi sono creature destinate alla solitudine” disse con sforzo Giovanni.
“Come potete credere a questo ?!”
“Non è* Isabella, che io ci creda, io lo so…”
“E chi condannerebbe gli uomini e le donne a questa triste condizione ?”
“Non saprei…”
In quel momento Agnese chiamò da fuori dalla porta. Aveva cucinato un pastone giallo e lo offrì ai due conversatori.
€Che giorno di gaudio è questo ! Meo è andato a confessarsi da Padre Modesto, Lapo mi ha donato una lepre e ho rivisto l’angelo” disse Agnese raggiante.
“Non sono un angelo” mormorò Giovanni.
“Allora che cosa siete ?”
“Solo un giovane” disse arrossendo Giovanni.
“Che peccato !” disse Agnese.
Giovanni tossì.
“Ma forse non è un male. Sposate Isabella, in tutto il creato non troverete una Dama più saggia” Giovanni restò impietrito, Isabella sorrise di Agnese.
“La vita corre, non perdete tempo” disse Agnese e se ne andò.
La luce del giorno svaniva.
“Come vorrei restare qui e conversare con Isabella” pensò Giovanni. Poi guardò la luce come per serbarla nella memoria, poi l’umile stanza, ogni oggetto, ogni cosa come per ricordarla, poi guardò fuggevolmente Isabella e vide che anche lei era assorta.
“Mi ricorderò di questo momento” disse Giovanni come in un incantesimo.
“Anch’io” disse Isabella sommessamente.
Egli chinò la testa ed uscì. Giovanni camminava con passo sicuro, forse vi era nei suoi occhi una vaga luce, un misto di felicità e nostalgia come se quel momento fosse già perduto anche se così vicino nel tempo. Tutto era però in armonia: il cielo, il suo passo, il brusio della sera, l’aria invernale, la neve che si andava squagliando, il battito sereno del cuore.
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