“Il giovane senza nome”. Capitolo 17.

“Il giovane senza nome”. Cap. 17

In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©

A mia madre

Capitolo 17

‘”Ahimè, si prevede mala sorte!” esclamò Gutierrez volgendo la carta dell’uomo impiccato.

“Ho fatto male ad acquistare queste carte dai vagabondi, voi ci credete” disse Giovanni.

“Quale mala sorte? ” chiese Vereda e il suo pensiero corse a Miguel.

Francisco gettò le carte in aria e disse:

“Non esiste sfortuna per chi ama!” e si chinò a baciare Vereda.

Giovanni abbassò lo sguardo. Sia Francisco che Vereda si erano accorti che quella sera Giovanni era particolarmente taciturno e schivo. Non aveva voluto mangiare nulla, aveva rifiutato il vino e sembrava lontano con il pensiero.

“Vereda ” disse ” Vi ricordate di Meo?”

*Non so chi sia” rispose lei.

“Quel giovane che vi ospitò a San Leone e che poi vi rapì dal convento delle Pie Dame”

“Ed allora?”

“Vorrebbe diventare il vostro fedele servitore, è molto cambiato da quei tempi” 

Vereda pensò subito che avrebbe potuto mandare Meo a Firenze alla ricerca di Miguel.

“Va bene, acconsento”

“Egli è innamorato di voi” disse Giovanni. 

“Non lo temo. Non temo nessun uomo” 

“Posso condurlo qui questa notte?” Si, potete”

Giovanni si meravigliò del rapido consenso di Vereda e fu felice per Meo.

Quando Vereda e Francisco entrarono nella capanna Giovanni si distese sull’erba. La notte era tiepida. Ascoltava Gutierrez che cantava la canzone del notaro siciliano e pianse. Gli costava gran fatica separarsi da Isabella.

“Ma io devo” si disse in lacrime.

Quanto contrasto vi era tra il suo stato d’animo e la natura in rigoglio! Neppure le stelle benevole, quella notte, gli recavano conforto.

“Non il mio bene ma il suo” diceva Giovanni quasi parlando da solo tra i singhiozzi. Era questo il suo proposito ma quanto dolore! Era come se si dibattesse tra opposte idee: ora si vedeva come un cavaliere assai valente e sposo di Isabella, ora le confessava il suo amore, ora si uccideva. Ma anche altre idee si affacciavano alla sua fantasia: avrebbe voluto non essere mai nato e si rammaricava di essere al mondo ma infine prevalse il desiderio di rendere felice Isabella facendo ciò che lei gli aveva chiesto. Quando questa lotta feroce finì Giovanni ripensò a Matteo L’Alchimista e alla vaga tristezza con cui aveva parlato di una Dama che certamente era Isabella e la gelosia svanì dalla sua mente. Esausto ma risoluto Giovanni si alzò in piedi, aveva alcuni fili d’erba tra i capelli, si ricordò di Meo e che doveva andarlo a prendere, portarlo alla capanna e poi tornare da Isabella per fuggire verso Napoli.

Gutierrez uscì dalla capanna. Il suo aspetto era serio e contristato e a rapidi passi raggiunse il giovane amico.

“Giovanni, che vi accade?” “

“Nulla”

Gutierrez guardò il giovane: il suo colorito era grigio, gli occhi spenti, i capelli in disordine, il corpo quasi curvo, sembrava che in meno di un’ora fosse invecchiato.

Gutierrez non sapeva niente dell’amicizia tra Giovanni ed Isabella e men che meno dell’amore di Giovanni per lei ma aveva intuito che vi era qualcosa di nuovo. Non osava domandare. Sapeva che a Giovanni non garbavano le domande. Solo Isabella poteva porgli ogni domanda e avere tutte le risposte.

“Amico diletto, c’è qualcosa che possa fare per voi?”chiese lo spagnolo. 

Giovanni scosse il capo.

“Vi confesso che non credo a questo amico di Salerno da cui dovete nuovamente recarvi”

“Avete ragione, Gutierrez, non è mai esistito. Debbo partire ma vado in un’altra città di cui non posso dirvi il nome” 

Gutierrez tacque.

“E poi al ritorno andrò al castello di Antoniazzo”

“Al castello ?! Ma siete impazzito?”

“No. Il medico che ha guarito quel tiranno dovrebbe essere ancora lì”

“Ma voi non avete necessità di un medico”

Giovanni prese dalla tasca della giubba una lettera sgualcita e la diede a Gutierrez. Proveniva dalla Britannia , Elena l’aveva affidata mesi prima ad un pellegrino che andava a Roma e il misterioso fantasma che portava i viveri e l’ottimo vino l’aveva recapitata. Chissà come era finita in mano di quello spettro. Giovanni l’aveva trovata pochi giorni prima nascosta tra le vivande. 

Elena scriveva che era ammalata e con parole da stringere il cuore si accomiatava dall’amatissima figlia Eleonora.

‘Chi è Eleonora?” domandò Gutierrez.

“Sono io” rispose in fretta Giovanni e udì il cuore battergli forte.

“Adesso comprendo il vostro silenzio” disse Gutierrez con voce commossa e quasi tenera.

“Potete rivelarlo a Vereda, se lo desiderate. Ormai non mi interessa più” disse Giovanni con finta freddezza.

“Perdonate le mie domande importune” continuò Gutierrez. Avrebbe voluto abbracciare Giovanni ma adesso che sapeva che era una fanciulla non osava.

“Volete che il medico curi vostra madre ?” 

“Sì”

“Ma quale medico può esser tanto bravo… ?”

“Colui che ha salvato Antoniazzo. So che quel tiranno era davvero giunto alla fine ma quel medico fu tanto abile da riportarlo in vita”

“E chi sarebbe questo guaritore ?”

“Il suo nome è Gabriel L’Alemanno”

Gutierrez ebbe una fitta allo stomaco così forte da farlo vacillare.

“Che vi accade, Gutierrez ?” chiese Giovanni sostenendolo, impaurito.

“Nulla.. .ma siete certo che questo Gabriel sia ancora al castello ?”

“É probabile ma non ne sono certo, si dice che Antoniazzo lo tenga prigioniero”

“Ci andrò io per voi ” disse in fretta Gutierrez 

“Voi ?”

“Si, concedetemi questo favore”

“Ma è un grave rischio, pensate a Vereda !” esclamò Giovanni.

“Sono molto più vecchio di voi, ho corso pericoli ben più gravi. Vent’anni fa volevano bruciarmi sul rogo” disse lentamente Gutierrez.

Giovanni impallidì.

“Sì, ma sono ancora vivo, abbiate fiducia, la buona sorte è dalla mia parte”

“E porterete qui il medico ?”

“Certo. Costruirò una capanna per lui e per Meo in modo che Vereda possa restare nella capanna tranquillamente”

“Che Dio vi protegga !” esclamò Giovanni e si avviò verso il cavallo.

Gutierrez lo seguì e mormorò:

“C’è una cosa che vorrei dirvi… se nella città in cui state andando vi è qualcuno che amate non lasciate che i giorni sfuggano o che sciocche credenze vi imprigionino il cuore. . . lasciate libero Amore”

“Amico, la Dama che amo non mi ama ” disse Giovanni.

“Ne siete certo ?”

Giovanni sospirò: si, ne era certo.

“Ma come può non amarvi ?” disse con foga Gutierrez “Non troverà mai più un giovane come voi”

“Io non sono un giovane”

“L’Amore non conosce distinzioni…se è vero e se nasce dall’anima. Solo gli stolti e i malvagi condannano un amore tra persone che hanno lo stesso sembiante” disse serio Gutierrez.

“Allora voi non mi giudicate male ?” chiese Giovanni.

Gutierrez sorrise.

“Io giudico male Antoniazzo ed Agnolo che opprimono la gente e negano ogni cristiana pietà”

“Ho sentito dire che Antoniazzo sia cambiato… 

E poi aggiunse: “Oh, Gutierrez ! Vi confesso che se amassi un uomo amerei voi” disse Giovanni.

“La gelosia di Vereda sarebbe ben più pericolosa dei soldatacci !” esclamò lo spagnolo ed entrambi risero. Era forse la prima volta che Francisco vedeva ridere il giovane. “Andate tranquillo. Vi porterò il medico” concluse Gutierrez.

Giovanni sorrise e salì a cavallo, legò al suo un cavallo pezzato che aveva acquistato dai mercanti. Meo lo aspettava fuori dal paese. Era agitatissimo e quando Giovanni lo vide in faccia ne ebbe compassione. Se Vereda avesse risposto di no di certo sarebbe impazzito o si sarebbe ucciso ed invece quella notte era la notte in cui tutto sarebbe mutato nella vita del fabbro.Lasciava il suo paese dov’era deriso e un fratello che lo trattava come una bestia.

“Coraggio, Meo ! Inizia una vita nuova ! Vereda vi vuole” disse Giovanni sorridendo.

Meo lanciò un urlo di giubilo e montò sul cavallo pezzato.

Meo era felice come si può essere raramente nella vita. Giovanni pensava a quanto Vereda avrebbe vessato il povero fabbro innamorato.

INDICE:

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

CAPITOLO 5

CAPITOLO 6

CAPITOLO 7

CAPITOLO 8

CAPITOLO 9

CAPITOLO 10

CAPITOLO 11

CAPITOLO 12

CAPITOLO 13

CAPITOLO 14

CAPITOLO 15

CAPITOLO 16

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