“Il giovane senza nome”. Capitolo 22.

“Il giovane senza nome”. Cap. 22

In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©

A mia madre

Capitolo 22

Solo quando Isabella e Giovanni giunsero davanti alla porta variopinta dell’abitazione di Matteo L’Alchimista Giovanni si accorse che Isabella era titubante ed incerta.

Che follia codesto viaggio !” esclamò la senese.

“É stato l’evento più bello della mia vita” disse quietamente Giovanni.

Isabella sorrise ma era chiarissimo che il suo pensiero correva oltre quella porta variopinta.

‘”Adesso e solo adesso mi chiedo che cosa sono venuta a fare qui… sono vecchia e la mia vita è quasi alla fine… Matteo mi avrà dimenticata”

“No di certo” rispose Giovanni sorridendo. Intuiva che Isabella avrebbe voluto essere bella, giovane e lieta come lo era stata a Siena quando lei e Matteo si erano incontrati per la prima volta. Questo pensiero intenerì Giovanni.

“Posso ancora esservi di aiuto ?” chiese

“No, amico caro”

“Addio, Isabella”

“Addio, Giovanni”

Così si lasciarono, impacciati.

Giovanni tornò alla capanna. Aveva guidato stancamente il cavallo, immerso in vaghi, nebulosi pensieri. Si spaventò dall’aspetto di Vereda. Piangendo la spagnola gli raccontò che Gutierrez non era tornato dal castello.

“Abbiate fede, Vereda” disse Giovanni, profondamente scosso, risalì sul cavallo che sebbene stremato ubbidì al suo gentile condottiero.

Giovanni non si era mai avvicinato al castello. Lo trovava molto brutto e tozzo di forma. Era l’ora dopo il pranzo e due soldatacci erano stesi a terra, davanti al massiccio portone, a ridere di qualcosa e altri tre discutevano animatamente. Vedendo arrivare Giovanni uno dei tre si staccò dal gruppo e lo fermò con tono altero.

“Che volete ?”

“Sono atteso dal Signore del castello, il nobile Antoniazzo” mentì Giovanni”

“Siete voi il romano ?”

“Sì, lo sono” rispose interdetto Giovanni e pensò “come fa a saperlo ?”

Con un certo rispetto Agnolo lo condusse nel gran salone. Giovanni fu meravigliato dall’ambiente spoglio, sembrava quasi che nessuno vi abitasse. I passi pesanti di Agnolo risuonavano sui pavimenti. Nel salone una dama bionda stava leggendo e Antoniazzo ascoltava pigramente. Due servitori erano in piedi forse in attesa di ordini.

“Signore, ecco il romano” disse Agnolo inchinandosi.

Beatrix smise di leggere.

Giovanni fece un lieve inchino.

“Agnolo, conduci qui Gutierrez” ordinò Antoniazzo.

Agnolo uscì a passi rapidi.

“Avete mangiato ?” domandò Beatrix sorridendo a Giovanni.

“Sì, Signora, vi ringrazio” rispose Giovanni che era digiuno da molte ore.

“Non solo è bellissima ma anche gentile” pensò.

Agnolo condusse Gutierrez e Giovanni non poté trattenersi da emettere un grido. Francisco aveva dei lividi dovuti alle percosse di Agnolo ma un’aria fiera e orgogliosa come mai.

Antoniazzo guardò con attenzione i due che si fronteggiavano. Dall’espressione di Gutierrez non ricavò nulla ma da quella del romano molto. Era lampante che provava dolore per lo spagnolo.

“Come vi chiamate ?” chiese Antoniazzo con un certo garbo che stupì Beatrix.

“Giovanni”

“Dove abitate ?”

Giovanni indugiò.

Antoniazzo fissava il giovane: era identico alla descrizione che Clemente gli aveva fatto della figlia del defunto Papa. Il feudatario aveva conosciuto parecchie persone per comprendere che il modo di parlare, i gesti e l’andatura del presunto romano erano quelli di un giovane allevato in una dimora nobile e istruita e non quelli di un soldato. Guardò di sbieco i suoi tratti e s’avvide che avrebbe potuto essere una fanciulla se avesse avuto i capelli lunghi e un abito adatto invece che i capelli corti e un abito maschile. La sua voce poi era quella di una fanciulla ma soprattutto comprese che era una fanciulla dal modo come lo guardava: vi era in Giovanni una grazia e un pudore che poteva essere solo femminile.

Improvvisamente gli venne in mente che aveva conosciuto molti anni addietro Elena, la nobildonna che avrebbe dovuto essere la madre di quel ‘soldato’, e disse: 

“Assomigliate a vostra madre Elena” e aggiunse guardandolo “so che è andata in Britannia”

“Lo so” rispose sinceramente Giovanni perché aveva intuito che non era più tempo di recitare il ruolo del soldato.

Gutierrez comprese che Antoniazzo era a conoscenza del segreto di Giovanni.

Antoniazzo stanco del male e degli intrighi che aveva ordito per tutta la vita sospirò: “Andate via tutti”

“Agnolo, libera Gutierrez !” ordinò.

Agnolo lasciò il braccio dello spagnolo con malagrazia.

“Mi è giunta voce che avete un altro prigioniero” disse Giovanni.

“Sì, Signore illustrissimo, il medico Gabriel L’Alemanno…ma non è prigioniero al castello…è un mio ospite…l’ho fatto trattare con ogni riguardo” rispose esausto Antoniazzo e ordinò di far portare lì Gabriel.

Agnolo condusse Gabriel, spettinato, dimagrito da quando Isabella e Padre Modesto lo avevano conosciuto, con lo stesso abito ormai liso.

“Francisco !” esclamò Gabriel incredulo.

Gutierrez lo guardò.

Agnolo silenziosamente era uscito dal salone.

“Vi prego, Signore, portatemi con voi !” esclamò Beatrix guardando Giovanni.

“Potete andare via Beatrix…” disse mansueto Antoniazzo alla sua bellissima amante “e se potete perdonatemi” aggiunse a bassa voce arrossendo.

Beatrix non disse nulla.

“Fate preparare i cavalli” ordinò Antoniazzo ai due servitori che erano terrei in viso.

Gutierrez guardava la scena stupefatto. Aveva il cuore in subbuglio.

“E questa anima che voi sostenete che esista, messer Gutierrez, si può riparare ?” gli chiese Antoniazzo a bassa voce, guardandolo negli occhi.

“Certamente”

“Chiamerò un sarto che la rammendi allora” mormorò il feudatario usando stranamente una metafora poetica.

Tutto ciò che era iniziato quando la Morte era alla porta ed egli era stato sincero con Isabella era ormai maturato. Il vecchio Antoniazzo era trasformato. Ne era appena sorto uno nuovo, con qualche tratto del vecchio ma anche con qualche tratto inatteso, chissà quale strade avrebbe intrapreso ormai sulla via della vecchiaia.

Antoniazzo stesso condusse i quattro fuori dal castello. I servitori erano sconcertati e i soldatacci non credevano ai loro occhi. Che un qualunque soldato romano imberbe avesse ottenuto tanto pareva loro una cosa impensabile, che poi Antoniazzo in persona si fosse degnato di accompagnarli fuori dal castello era un privilegio che nessuno dei rari ospiti aveva avuto.

Giovanni stava per accomiatarsi dal feudatario quando sentì un dolore violentissimo al fianco sinistro. Lanciò un grido e si accorse che del sangue che usciva da una ferita. Agnolo, che lo aveva pugnalato, era come inebetito a pochi passi da lui. Gutierrez stava per scagliarsi sul soldataccio ma Antoniazzo, come una furia, lo precedette, afferrò per la tunica il suo prediletto, lo colpì con violenza e urlò: “Maledetto!”. Agnolo si divincolò e scappò per i campi.

Nel frattempo Gabriel aveva aiutato Beatrix a salire a cavallo e Gutierrez aveva sostenuto Giovanni. Il tutto si era svolto in un tempo rapidissimo.

“Perdonate, Signore” urlò sconvolto Antoniazzo a Giovanni.

In fretta e furia i quattro fuggirono da quel luogo.

“Cercate Agnolo ma non uccidetelo!” ordinò Antoniazzo ai soldatacci che come lupi selvaggi corsero da ogni parte, dando la caccia al loro comandante.

INDICE:

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

CAPITOLO 5

CAPITOLO 6

CAPITOLO 7

CAPITOLO 8

CAPITOLO 9

CAPITOLO 10

CAPITOLO 11

CAPITOLO 12

CAPITOLO 13

CAPITOLO 14

CAPITOLO 15

CAPITOLO 16

CAPITOLO 17

CAPITOLO 18

CAPITOLO 19

CAPITOLO 20

CAPITOLO 21

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