“Il giovane senza nome”. Capitolo 25.

“Il giovane senza nome”. Cap. 25

In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©

A mia madre

Capitolo 25

Parte seconda

Anche se Giovanni avrebbe molto desiderato andare verso il sud per essere vicino ad Isabella prese invece la via del nord. Era indeciso se raggiungere sua madre in Britannia ma quell’isola mistenosa era così lontana, gettata nel mare e quasi leggendaria.

Dopo un lungo viaggio tra campi arati ed incolti, borghi e terre brulle, evitando ogni castello, parlando raramente con gli uomini e con le donne Giovanni si trovò di fronte ad una grande città. Aveva molte torri di mattoni e misere case circondavano le mura, benevoli armigeri gli fecero varcare una porta e come d’incanto Giovanni si trovò in una via raffinata e vivace. Palazzi nobiliari erano in costruzione, gli operai lavoravano destramente, frotte di studenti facevano chiasso per la via, con bei abiti multicolori: cercavano in città risse, fuggevoli amori, goliardie. Giovanni fu scambiato per uno di loro dalla ostessa della locanda dove trovò alloggio. A dire il vero il giovane biondo era assai più quieto dei suoi coetanei, più garbato e pagava con puntualità. L’ostessa era felice di aver trovato un pensionante così tranquillo ed onesto. 

La domenica nella via grande i nobili e i mercanti ostentavano abiti sfarzosi per recarsi alla messa. Giovanni vi andò solo una volta e la sua presenza era già stata notata da tutti nella città turrita. Il suo colorito era così pallido, il suo passo così lesto, la sua voce flebile, i capelli color d’oro e tanto diverso appariva dagli altri studenti che moltissime fanciulle si invaghirono di lui, lo guardavano fuggevolmente nelle vie, una gli sorrise ma Giovanni non se ne accorse. Si disse che era studente in teologia, che era un nobile e promosso sposo di Gemma Diotiallevi, la ragazza più bella e ricca della città. Gemma non smentì, né favorì la diceria ma anche lei aveva notato il forestiero anche se le era parso troppo femminile e stralunato per piacerle.

Giovanni non desiderava frequentare nessuno. Il suo silenzio destò sospetti, si mormorò che fosse una spia ferrarese, un emissario di un nobile che ambiva a conquistare l’orgogliosa città. Giovanni ignaro dei pettegolezzi, della curiosità che aveva suscitato conduceva una vita tranquilla e sobria. Gli piaceva passeggiare discretamente sulle rive del fiume che baldanzosamente divideva in due la città, osservare le botteghe, i fervori, le voci, i richiami, l’animazione.

Era ormai inverno. Giovanni si decise a farsi fare un abito nuovo e a caso scelse una bottega di un sarto, in una viuzza poco frequentata e umile. La bottega era buia e molto piccola. Un uomo sui cinquant’anni, con radi capelli e occhi fini, stava cucendo una giubba e appena vide Giovanni restò meravigliato, quasi impaurito. Giovanni si turbò, mille congetture invasero la sua testa e d’istinto prese la via dell’uscita ma l’uomo lo chiamò:

“Messere !”

A Giovanni quel richiamo parve tanto implorante che si fermò sul pavimento di legno e si volse garbatamente verso l’uomo.

“Buongiorno Signore” disse Giovanni.

“Perdonate, Messere, sono qui per servirvi”

“Qualunque cosa desideriate sarete servito meglio di un principe ” aggiunse l’uomo che nel frattempo lo aveva raggiunto.

“Vi ringrazio, signore “mormorò Giovanni ancor più confuso.

“Io ringrazio voi, Messere diletto, per aver avuto l’idea di entrare nella mia umile bottega, di certo Gesù Cristo vi ispirò” rispose l’uomo. 

Le lacrime gli scendevano e Giovanni provò un’acuta stretta al cuore. Che cosa cagionava tanto dolore in quel sarto ?

Una donna, assai bella, di circa quarant’anni, uscì dal retrobottega e incominciò a lodare Dio e a piangere. Forse aveva udito quel discorso dal retrobottega perché l’unica divisione era costituita da una tenda nera e sfilacciata.

Giovanni guardava le bellissime stoffe colorate e gli arnesi del lavoro, appesi al muro con chiodi: era affascinato da quella curiosa bottega di sarto.

“Suvvia, Enea, non far perdere tempo a questo nobile Messere” disse infine la donna.

“Ma come posso ?” mormorò il sarto alla donna.

“Allora gli dirò io tutto” rispose lei risoluta e si avvicinò a Giovanni.

Giovanni udiva il cuore battergli molto forte ef intuiva che stava accadendo qualcosa di grande e provò desiderio di fuggire ma la pietà che sentiva per i due coniugi piangenti gli impedì di dar retta alla sua paura.

“Diciotto anni fa, Messere, entrò in questa povera bottega un uomo. Era molto bello, bruno, coraggioso. Non abbiamo mai saputo io, Sara, e mio marito Enea il suo nome. Noi abbiamo pensato che fosse un principe o comunque un gran signore, mai visto prima qui a Bologna. La sua veste era raffinata, i capelli neri e gli occhi bellissimi”

“Ma forse tutto ciò non interessa al Messere, Sara” disse timidamente Enea ma la moglie non rispose e continuò il suo racconto.

“Egli ci pregò di tenere con noi un neonato che aveva celato in alcuni delicati panni e che saggiamente non aveva strillato. Vi confessiamo che ci lasciò dell’oro e noi accettammo. Non abbiamo avuto figli…” disse Sara arrossendo.

Giovanni abbassò lo sguardo per rispettare il suo rossore. 

“Il neonato si rivelò essere una bimba, bella, sana e splendente”

“La chiamammo Judith” si intromise Enea.

“Oggi ha diciott’anni e neppure Gemma Diotiallevi è bella come lei” disse fieramente Sara.

Giovanni annui anche se ignorava chi fosse codesta Gemma.

“La tragedia è che il notaio Rainiero si è messo in testa di sposarla”

“E chi è costui ?” chiese Giovanni.

“L’uomo più orrido che Dio potesse fare. Anzi, forse il diavolo lo fabbricò!” rispose Sara.

“E vostra figlia lo ama ?” chiese timidamente Giovanni

“Nostra figlia non lo sopporta! Per lei sarebbe meglio annegare nel fiume o gettarsi da una torre che sposare quel vecchio peccatore, ha più di sessanttanni, ha condotto più male azioni lui che tutti i bolognesi insieme, nessuna fanciulla o vedova dabbene lo sposerebbe mai!”

Giovanni comprese che Rainiero doveva essere simile in qualcosa ad Antoniazzo prima del cambiamento e pensò con tristezza a Beatrix.

“Noi non possiamo rifiutare: Rainiero è ricchissimo e potente. Solo se qualcun altro sposasse Judith lei si salverebbe!”

Giovanni comprese. Mutò colore, si sentì vacillare.

“Noi sappiamo che voi siete il saggio studente della locanda ‘Alla speranza ” e abbiamo sentito parlar molto bene di voi, Messere. Sappiamo che studiate, suonate, leggete, siete sobrio nel mangiare e nel bere e che non corteggiate alcuna fanciulla ” 

Giovanni arrossì.

“Vi supplico! Sposate nostra figlia!” esclamò Enea.

“Ella è bella e devota, vi sarà fedele, non possiede nulla ma sarà la vostra felicità” aggiunse Sara.

“Ma non so se vostra figlia vorrà…”

“Voi siete giovane e nonostante il vostro pallore di certo sano” continuò Sara “molte madri sarebbero lusingate di dar la loro figlia in sposa al notaio ma noi non possiamo commettere questo abominio. L’amore che abbiamo per lei ce lo impedisce e Dio peserà i nostri cuori un giorno”

“Va bene” disse Giovanni mansueto ” Ditemi, Madonna, che cosa debbo fare ed io vi ubbidirò”

“Sabato porteremo Judith nel chiostro dei domenicani, la conoscerete e domenica vi sposerete”. 

“Onestamente devo avvisarvi che Rainiero vi odierà e forse la vostra vita, Messere, sarà in pericolo” disse Enea.

“Dopo le nozze andrete subito nel borgo di Santa Maria. Rainiero non può entrarvi”

“Perché ?”

“Ha ucciso il fratello del signore del luogo, Fino del Malpasso”

“Dunque è un assassino questo notaio!” esclamò Giovanni.

“Sì e lunga sarebbe la lista dei mali che fece per pura perfidia” rispose la donna.

“Non abbiate timore, proteggerò vostra figlia, sarò come un fratello per lei” mormorò Giovanni.

Dopo aver preso gli ultimi accordi Giovanni uscì. Era venuto un gran freddo e stordito prese la via della locanda. L’ostessa si congratulò con lui per la domanda che aveva fatto per la figlia di Enea.

“Ma come fa a saperlo già ?” si chiese Giovanni accigliato.

“Si dice che sia la figlia di un re saraceno..

o forse la figlia del Duca di Milano…” disse l’ostessa “E’ una fanciulla onesta e avete scelto bene” 

Giovanni si chiuse nella camera . Non poteva immaginare che nel breve cammino dalla bottega del sarto alla locanda dell’ostessa tutta Bologna già sapeva. Alcuni studenti ebbero parole triviali e piene di disprezzo per Giovanni perché erano invaghiti di Judith. Molte fanciulle ebbero invece parole di scherno verso Judith che rubava loro il forestiero peraltro tanto taciturno e riservato.

Il notaio fece chiamare Elia. Elia sentì di esser prossimo alla morte dalla paura ma con un moto di coraggio e di audacia decise di morire coraggiosamente e salì la grande scala del palazzo notarile con un fervore e una velocità inusuale. 

Il viso di Rainiero era scuro dalla rabbia, cupo. Era un vecchio magrissimo, il naso aguzzo, indossava un copricapo per mascherare la testa calva e senza preamboli aggredì con un torrente di insulti il sarto.

“Signore, mia figlia è libera di sposare chi ama ed io sono felice della sua scelta” disse Enea.

“Ed io ? Io voglio sposare vostra figlia che poi non è vostra figlia, tutti sanno che voi, miserabile, siete incapace di generare figli! E siete anche un giudeo convertito!” disse sprezzantemente Rainiero.

“Mia figlia ha già scelto” rispose Enea.

“E voi forzatela a cambiare idea! Che padre siete ? So che sposa un mentecatto, uno studentello imberbe che non potrà mantenerla, un vagabondo che ha avuto accoglienza in città, un ladro probabilmente…”

“No, Signore, egli è uno studente onesto”

“Mi sono informato. Si dice che sia di un regno nemico, sarà una spia” Enea tacque.

“Del resto vostra figlia non è onesta. Io la voglio sposare solo per pietà” mentì il notaio.

Volgarità e malvagità vanno spesso sottobraccio.

Per l’unica volta in sessant’anni l’odio e il furore lampeggiarono negli occhi del sarto.

INDICE:

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

CAPITOLO 5

CAPITOLO 6

CAPITOLO 7

CAPITOLO 8

CAPITOLO 9

CAPITOLO 10

CAPITOLO 11

CAPITOLO 12

CAPITOLO 13

CAPITOLO 14

CAPITOLO 15

CAPITOLO 16

CAPITOLO 17

CAPITOLO 18

CAPITOLO 19

CAPITOLO 20

CAPITOLO 21

CAPITOLO 22

CAPITOLO 23

CAPITOLO 24

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