“Il giovane senza nome”. Capitolo 28.

“Il giovane senza nome”. Cap. 28

In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©

A mia madre

Capitolo 28

La strada era fangosa. La neve era ormai rimasta solo in pochi tratti del borgo e l’aria gelida scuoteva Giovanni. Non si meravigliò troppo quando vide che davanti alla fabbrica di mattoni vi era una lunga fila di uomini. Erano almeno una trentina, alcuni giovanissimi, altri più vecchi. Appena il forestiero si mise dietro l’ultimo, un ragazzetto con i capelli rossi, si sollevò un mormorio generale: un altro cercava lavoro ed era uno straniero. Giovanni respirò e attese con pazienza.

“La pazienza dei poveri deve essere infinita” pensò.

Ma non tutti i poveri erano come Giovanni. Egli non si accorgeva che il solo fatto d’esser forestiero, il suo abito nuovo, la sua bellezza delicata, i suoi gesti raffinati, le mani senza ombra di bolle o chiazze, che erano la prova che mai aveva svolto un lavoro faticoso e tante altre piccole cose che lo rendevano diverso, suscitavano invidia e rancore in quel gruppo di uomini. Il primo a dargli fastidio fu il roscio con la faccia butterata. Gli diede una spinta forse per gioco o per malcreanza o gelosia.

Fu la scintilla per dar fuoco al malcontento che la sua innocente presenza suscitava. Un uomo corpulento, con la barba, gli diede un’altra spinta e Giovanni si trovò per terra.

“Che cosa vi ho fatto?” chiese.

Non ottenne risposta e ben presto il roscio lo colpì sul viso.

Gli uomini apprezzavano quella rissa e Giovanni udì gridare da qualcuno: “Ammazzalo il sodomita!”

Giovanni si difese assai bene ma il roscio era abbastanza forte e stava per aver la meglio su di lui quando un giovane allampanato, biondo e slavato li separò. Giovanni restò confuso, sentiva il sangue colare dalla bocca e stava per ringraziare il biondo quando questi lo prese a calci.

“Vigliacco !” gridò Giovanni.

Il biondo rideva.

“Evviva Wilfredo!” gridarono in molti.

Allora Giovanni non ci vide più e colpì con forza Wilfredo che vacillò.ll biondo gemette dal dolore e prima che la folla potesse avventarsi sul forestiero due soldati lo avevano afferrato. Giovanni venne condotto al palazzo di mattoni del signore del borgo. Ancora sconvolto dall’aggressione e turbato dalla violenza a cui non si sarebbe mai abituato Giovanni fu lasciato in un ampia sala pressoché vuota di ornamenti. Solo la testa di un cervo lo fissava dalla parete e delle lance erano disposte senza arte. A lungo, in piedi, Giovanni dovette attendere l’arrivo del signore. Un soldato lo sorvegliava e Giovanni comprese che era in una brutta situazione. Non sapeva che Fino del Malpasso aveva già udito i numerosi testimoni che avevano raccontato concitatamente che senza alcuna ragione lo straniero aveva percosso prima il roscio e poi il fido Wilfredo.

Il soldato che lo sorvegliava sbadigliava vistosamente: la sorte di quel rissoso gli era indifferente. Finalmente si udirono alcuni passi: Fino del Malpasso entrò attorniato da sei soldati. Era molto alto, aveva strani capelli corti e labbra sottili, atteggiate ad un disgusto perenne. Con attenzione osservò il giovane ferito e Giovanni s’avvide con paura che gli occhi avevano l’espressione vuota dei tiranni.

“Ecco il fiorentino!” esclamò alla fine dell’esame il signore del borgo e i suoi soldati risero, compreso quello annoiato.

“Non sono fiorentino” ribatté Giovanni. 

Fiorentino era un sinonimo per sodomita.

“E allora chi siete?”

“Il mio nome è Jehan e sono provenzale” mentì Giovanni.

“Provenzale? E sapete leggere?”

“Sì, conosco il latino e il greco, non mi è ignota l’Arte della musica e la Filosofia”

“E così dotto siete andato a mendicare lavoro nella fabbrica di mattoni !” esclamò Fino e i soldati risero di nuovo.

“Che ignobile commedia !” pensò Giovanni.

“Impastare calce è cosa da servi” disse Fino avvicinandosi troppo. Giovanni indietreggiò di un passo: la sua vicinanza gli dava ribrezzo.

“Non è vero, vi sono anche uomini di grande anima che impastano calce” rispose risoluto.

“Io ho sempre ragione, non solo siete un fiorentino ma anche orgoglioso”

“Non sono orgoglioso !”

“Vi farò passare la vostra alterigia, trascorrerete venti giorni o trenta in carcere. Mangerete solo pane nero e acqua. Non avrete minestra. Vi farò passare la vostra alterigia da nobile” ripeté Fino del Malpasso.

“Adesso capisco, quest’uomo non è un aristocratico e chissà con quale colpo di mano ha avuto il potere” pensò Giovanni.

Immediatamente Giovanni fu preso da due soldati e condotto nel carcere che era sotterraneo, La mancanza d’aria gli diede un senso di terrore. Solo allora si ricordò di Judith e pianse lacrime amare sapendola sola ed indifesa.

La vita di Giovanni era in mano ad un tiranno che era certo di avere sempre ragione.

La novella dell’arresto si diffuse in un istante nel borgo e anche Judith pianse non per se stessa bensì per quello che era accaduto a Giovanni, sapeva che non poteva esser stato lui ad attaccar briga e Alidora la confortò, le disse che ormai si era affezionata a lei e al suo sposo come se fossero stati amici del suo defunto figlio Valente. Si ricordò di un amico del figlio che avrebbe potuto prendersi cura di Judith ma che era lontano da molto tempo. Judith domandò se vi fosse un luogo dove le donne potessero lavorare a Santa Maria. Alidora impallidì e Judith comprese che c’era ma dovette faticare a lungo per farsi dire dove fosse questo luogo.

“Sì, c’è” disse infine Alidora in un sussurro “ma solo dai bambini tessitori”

Il mattino dopo, molto presto, Judith si recò al palazzo. Nonostante Alidora l’avesse supplicata di non farlo la fanciulla aveva voluto uscire all’alba.

Mentre percorreva le strade del borgo Judith si sentiva stranamente serena. Vi è una forza interiore che spesso le anime delicate possiedono. Da qualche capanna qualcuno usciva sulla soglia, alcuni uomini si recavano al lavoro, un neonato piangeva dentro ad una capanna di fango e paglia.

Una fiaccola che illuminava l’ingresso del palazzo venne spenta da un soldato.

Judith indossava un pesante mantello di lana che le aveva cucito sua madre. I soldati si stavano riscaldando ad un fuoco morente, il freddo era ancor più forte dei giorni passati. Il cielo scuro, livido. Un soldato sbarrò il passo alla fanciulla:

“Non si può entrare!”

“Mio marito è stato arrestato e devo chiedere una supplica al signore” spiegò Judith. Il soldato la lasciò entrare nel palazzo.

Altri soldati giocavano a dadi ma furono colpiti dalla bellezza di Judith e smisero il gioco.

Judith arrossì sentendo i loro sguardi e si sedette su una panca di pietra.

Ben presto la sala si riempì di gente che doveva chiedere suppliche, denunciare soprusi, riottenere un lavoro o un grado militare. Judith si accorse che le donne la guardavano male e che gli uomini invece le sorridevano. Abbassò lo sguardo e attese. Nonostante fosse arrivata per prima entrò per penultima, solo un contadino fu lasciato ultimo nonostante avesse un’oca starnazzante. 

Un soldato la condusse nella sala con la testa del cervo e le lance e Judith vide sul pavimento ceste di frutta e ortaggi, animali, armi e altre offerte a Fino del Malpasso.

Il soldato la avvicinò e con tono brusco disse:

“Voi non avete portato niente ?”

“Ho pochi soldi”

“Datemeli !” ordinò il soldato.

Judith prese un sacchetto blu ma il legaccio non si scioglieva, il soldato, spazientito, lo prese e lo strappò. Rovesciò sulla sua mano grande i pochi soldi di Judith e se ne andò dopo aver gettato a terra il sacchetto che Enea aveva cucito per lei. Judith lo raccolse. 

Fino del Malpasso entrò con sei guardie, batté le mani e le sei guardie lo lasciarono.

“Sono onorato di poter essere di qualche aiuto ad una fanciulla così bella” disse Fino con una smorfia che forse avrebbe voluto essere un sorriso galante.

“Vi domando grazia, Signore, per mio marito che è stato arrestato ieri”

“E chi è vostro marito ?”

Prima che Judith potesse rispondere Fino aggiunse:

“Un uomo toccato da tanta fortuna dovrebbe restare in carcere a vita !” celiò il tiranno. 

“Si chiama Messer Jehan, è provenzale”

“Chi è ? Un ubriaco, un ladro, un ribelle ?”

“No, Signore, è stato ingiustamente accusato di aver percosso due uomini alla fabbrica di mattoni ma è innocente”

“Ora ricordo: è biondo, assomiglia ad una donna ed è un altero che si vanta di conoscere il latino e il greco” disse Fino.

Judith tremò di rabbia ma restò immobile.

“Tra venti giorni sarà libero…ma voi come vi chiamate ?”

“Costanza”

“Che nome eccellente” disse Fino.

Judith guardò il tiranno e lui ebbe paura dello sguardo limpido di lei.

“Andate, mi avete fatto perdere già troppo tempo !” esclamò irritato.

INDICE:

CAPITOLO 1

CAPITOLO 2

CAPITOLO 3

CAPITOLO 4

CAPITOLO 5

CAPITOLO 6

CAPITOLO 7

CAPITOLO 8

CAPITOLO 9

CAPITOLO 10

CAPITOLO 11

CAPITOLO 12

CAPITOLO 13

CAPITOLO 14

CAPITOLO 15

CAPITOLO 16

CAPITOLO 17

CAPITOLO 18

CAPITOLO 19

CAPITOLO 20

CAPITOLO 21

CAPITOLO 22

CAPITOLO 23

CAPITOLO 24

CAPITOLO 25

CAPITOLO 26

CAPITOLO 27

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