“Il giovane senza nome”. Cap. 32
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 32

Che Agnolo, dopo che era fuggito da Antoniazzo, fosse diventato un bandito che assaliva i viandanti era una cosa nota a San Leone. Senza più padrone, con l’abito scarlatto e giallo, lacero e sporco attaccava chiunque anche se sapeva che i banditi venivano messi a morte se non erano protetti da un potente. Salendo la penisola era giunto fino alle Romagne, aveva vagato sulla costa adriatica e poi era entrato nel borgo di Santa Maria dove non c’era nulla da rubare. Se ne sarebbe andato molto presto da lì se Fino del Malpasso non lo avesse assoldato tra i suoi soldati. La carriera di Agnolo tra i soldatacci del tiranno era stata rapida, ben pochi avevano l’esperienza di Agnolo, molti erano dediti al vino, parecchi rubavano, alcuni erano alemanni sbandati che oziavano tutto il giorno e ridevano forte chiacchierando nella loro lingua incomprensibile. Tutti ammiravano Agnolo. Presto fu nominato capitano, un onore che Fino riservava solo agli uomini più fidati. Aveva avuto una divisa nuovissima, la indossava orgoglioso. Non beveva, non faceva risse, non infastidiva le donne, non faceva burle, non era violento come Wilfredo, non maltrattava i bambini, non rideva delle vedove. Sempre imbronciato camminava nel borgo come se fosse suo. Gli abitanti lo temevano. Era servile con Fino del Malpasso, era abituato ai prepotenti e non era ingenuo. Fino era lusingato da quel capitano di bell’aspetto e rigoroso.
Per singolare che possa sembrare anche Agnolo aveva avuto un carissimo amico in passato.
Un giorno, dopo alcune incertezze, bussò alla porta di Alidora. La donna lo accolse con l’anima divisa in due: lo ricordava bambino quando giocava con suo figlio Valente e lo sapeva capitano delle guardie di Fino del Malpasso. Tuttavia prese una bevanda aromatica e la offrì ad Agnolo. Egli si sentiva a disagio in quella stanza povera, abituato a stare solo in compagnia di soldatacci, disavvezzo alle donne. In verità Agnolo era affezionato ad Alidora e con tristezza aveva riconosciuto la spada di Valente.
Quando Judith rincasò dalla tessitoria vide un giovane poco più che ventenne, dai lineamenti marcati, quasi bello, imbronciato e con la divisa di Fino seduto a conversare con Alidora.
Vedendola entrare il soldataccio si alzò in piedi e fece un lieve inchino, Judith lo guardò appena.
“Lei è Costanza, per me è come se fosse mia figlia” disse Alidora.
Judith era già fuggita nell’umile camera attigua. Temeva i soldatacci di Fino.
Alidora volle donare ad Agnolo la spada di Valente e Agnolo provò qualcosa di simile ad un rimescolio interno. Si accomiatò dalla vedova ed uscì. Stordito provò nostalgia. Nostalgia era una parola sconosciuta ad Agnolo che aveva un vocabolario limitato ma era proprio quello che sentiva. Lentamente fece ritorno all’alloggio dei soldatacci. Mille cose gli risuonavano dentro e turbato si mise sul pagliericcio per dormire. Pensò che il sonno avrebbe scacciato il demone che Io tentava. Agnolo non sapeva che non era un demone ma un angelo e costui gli sussurrava di un tempo passato ma non per questo concluso, gli rammentava persone ed eventi che a lungo avevano vissuto nell’oblio durante la sua vita scellerata da Antoniazzo. Agnolo aveva cacciato in fondo all’anima ricordi e volti ma l’angelo li enumerò uno per uno, incurante dell’odio di Agnolo che non voleva rivedere gli amati volti, ricordare la sua infanzia e la primissima giovinezza. Gli angeli sono testardi e questo doveva esserlo più degli altri.
“Vattene !” esclamò Agnolo, angosciato.
“Non posso, amico, debbo compiere la mia impresa” rispose l’angelo invisibile.
“Non chiamarmi amico, maledetto !”
“Tu non mi conosci Agnolo ma io ti sono amico. A lungo ho atteso ma oggi il tempo è giunto”
“Quale è il tuo nome, sfrontato ?”
“Il mio nome è Amore ” rispose il vento freddo dell’inverno.
Agnolo, sgomento, credette di esser diventato pazzo.
Agnolo non era un letterato dotto come Gutierrez, né era complicato come Messer Giovanni e Amore ottenne presto una vittoria assoluta sul suo animo rozzo. Omnia vincit Amor – ha scritto il poeta Virgilio.
Sovente Amore, sotto forma di vento, venne a trovare il capitano. Un giorno lo trovò assonnato quando avrebbe dovuto fare la ronda nel borgo.
“Non assolvi il tuo compito ?” chiese Amore e una lieve ironia risuonò nella sua voce senza voce.
“Bene. E come mai non hai picchiato il prigioniero salernitano che avresti dovuto percuotere secondo gli ordini del tuo padrone ?” chiese Amore.
“Non voglio picchiare il prigioniero” mormorò Agnolo tra sé e sé.
“Perché ?” chiese Amore.
“Quando lo vidi ne ebbi compassione…ha dodici anni…aveva paura di me. Io non voglio mettere paura. Ho compassione. Non voglio più fare del male agli inermi” mormorò Agnolo.
Quando i capitani confessano compassione e benevolenza è la fine della tirannide.
In un tempo rapidissimo Agnolo divenne insofferente agli ordini, alla disciplina, fu sempre più schivo con i compagni, divenne implacabile verso chi vessava le donne, gli orfani e le vedove. La sua stranezza fu notata da tutti ma nessun soldataccio aveva l’ardire di rivelarla a Fino del Malpasso.
Un giorno Agnolo, smarrito, percorreva una via fangosa e tuttavia la primavera spirava anche a Santa Maria per quanto ciò sembrasse impossibile. Fu allora che riconobbe Judith. Ella indossava una mantella di lana, i capelli castani erano accuratamente legati e stava recandosi in fretta da qualche parte.
Agnolo mosse qualche passo verso di lei. Lei lo vide e rimpianse di aver preso quella via.
“Posso accompagnarla, Madonna Costanza ?”
Agnolo come tutti credeva che lei si chiamasse così.
“Vuole prendermi in giro ? Non sa che Giovanni è in carcere da mesi per colpa del suo padrone ?” pensò Judith.
“No, capitano” rispose Judith.
Agnolo la guardò e inchinò il capo.
Judith proseguì la strada. Disperato il capitano non la seguì, un’ immensa disperazione lo tormentava. Dai tempi di Antoniazzo Agnolo aveva deriso le donne, le trovava sciocche, infide, disoneste e solo una aveva rispettato dentro di sé: quella madre Isabella che con tanta fierezza aveva sfidato Antoniazzo per richiederle la fanciulla spagnola. Aveva provato una profonda ostilità verso la bellissima Beatrix ed era stato geloso dell’influenza che aveva avuto sul feudatario. Non si era mai innamorato, eccetto una volta, aveva frequentato solo prostitute che aveva profondamente disprezzato. Spesso aveva sparlato e dileggiato tutte le donne, suscitando l’approvazione dei soldatacci al suo comando.
Perché ora verso Judith sentiva qualcosa di tanto diverso ? Quasi folle o quasi savio Agnolo era sconvolto da ciò che provava: non solo desiderava il bene di Costanza ma voleva anche la sua felicità. Che diavolo era mai questo sentimento nuovo ?
Agnolo era un commediante di scarso talento e Amore divenne visibile nei suoi occhi, nei suoi gesti, nella voce. Che Agnolo fosse innamorato era evidente cosi come che il Sole è in cielo. Amore come un orafo meticoloso e paziente cesellava l’anima di Agnolo, imbelliva i suoi lineamenti, ingentiliva la sua andatura, gettava le idee prese da Antoniazzo o da altri sulle donne, faceva emergere l’oro che era infondo ad Agnolo, scendeva negli abissi del suo cuore.
Per qualche giorno pensò che avrebbe potuto sposare la fanciulla ma poi seppe che aveva un marito, un gaglioffo che era in galera da un pezzo e a cui era fedele.
La incontrò di nuovo. Era l’alba. Judith stava camminando verso i dintorni del borgo, indossava un abito liso ma di buona fattura e sulla testa aveva un velo scuro. Agnolo la seguì, ben attento a non farsi scorgere, a non spaventarla. Non aveva alcuna ragione se non che Amore conduceva i suoi passi. Si meravigliò vedendola all’alba in quel luogo e la curiosità giocò la sua parte. Con orrore vide che Judith entrava nella capanna dei bambini tessitori, con il cuore in gola spiò da uno di quei buchi da cui entrava l’aria nella capanna e che serviva da finestra. Vide Wilfredo che urlava contro un bambino. Vide i piccoli lavoratori già ai telai. Vide Judith che si preparava al lavoro. Fu allora che il ‘vecchio’ Agnolo esplose e si distrusse ed emerse il ‘nuovo’ Agnolo. Con furia entrò nella capanna. Un’espressione di terrore si dipinse sulla faccia slavata di Wilfredo che tentò di fuggire ma Agnolo lo afferrò saldamente e lo percosse. I bambini tessitori smisero il lavoro, urlarono, distrussero i telai, incendiarono la capanna. I soldati di Fino del Malpasso accorsero e si trovarono un esercito furibondo, armato di pietre e di fango ma deciso a resistere come nessun altro. Il vescovo Albino fece serrare il portone del suo palazzo di mattoni: sapeva che la rabbia degli oppressi era incontenibile. Fu il subbuglio, la guerra, la lotta. Il Duca di Quadri fece entrare il suo piccolo esercito nel borgo. Era giunto il suo momento. Poteva vendicare la figlia. Fino del Malpasso riuscì a scappare appena vide le fiamme levarsi dalla capanna dei tessitori. Lasciò le regalie, l’oro, le armi, i soldati. I soldatacci del Duca di Quadri trovarono sui pavimenti del palazzo stoffe pregiatissime e oche vive, pergamene e paesani che avevano avuto l’idea di saccheggiare il palazzo non perché rivoltosi ma perché attratti dalle ricchezze. Si guerreggiava ovunque. Agnolo dopo aver percosso Wilfredo aveva preso per mano Judith, sconvolta, e l’aveva condotta da Alidora. Poi era tornato nella mischia. I bambini tessitori combatterono anche contro i soldatacci del Duca ma infine questi ebbero la meglio ed arrestarono Agnolo e la sua truppa.
“Perdonatemi” disse Agnolo piangente concludendo il racconto.
“Di che cosa ?” domandò Giovanni.
“Di quella funesta coltellata che vi diedi quando veniste al castello di Antoniazzo”
“Non piangete, Agnolo, mi ero già scordato di quella storia e il medico mi guarì assai bene. Certo faceste male ma è bene che lo abbiate compreso ma perché me la avete data ?” chiese Giovanni.
“Ero geloso di voi. Voi eravate come avrei voluto essere io” mormorò Agnolo.
Giovanni aveva compreso che Agnolo si era innamorato di Judith e con angoscia era venuto a sapere dove ella aveva lavorato mentre egli era in carcere.
Si avvicinò ad Agnolo e chiese:
“Pensate che quella Dama vi ami ? “
“No, per nulla. Costanza mi detesta. Ama suo marito che è in prigione da tempo” disse Agnolo “Quello che mi addolora non è che lei non mi ami ma che forse creda che io sia quel che più non sono” aggiunse mestamente.
“No, Costanza lo avrà compreso” disse Giovanni meravigliato dei prodigi di Amore sull’intelletto di Agnolo e al tempo stesso commosso da quelle parole ‘ama suo marito che è in prigione da tempo’.
“Non la conoscete, Messere, non esiste Dama più pura. Solo un’altra fanciulla potrebbe assomigliare a lei…”
Giovanni restò turbato non comprendendo a chi Agnolo alludesse.
“Perché avete percosso Wilfredo” ?
“Perché non è vero che egli giunse qui dalla Alemannia con la guerra come si dice in giro, egli era come me un bambino tessitore”.
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