“Il giovane senza nome”. Cap. 33
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 33

Quando nelle Romagne Matteo disse a Gabriel L’Alemanno che avrebbe desiderato fermarsi presso un amico e non proseguire verso l’Elvezia Gabriel ci restò un po’ male. Il viaggio da Napoli era stato gradevole, Matteo era affabile, cortese, talvolta sembrava angustiato ma presto riprendeva il suo carattere lieto e vitale. I due si salutarono e Gabriel proseguì la strada verso il nord. Era stanchissimo, viaggiare senza compagnia gli era gravoso e decise di fermarsi, anche per far riposare il destriero, in un piccolo borgo. A dire il vero era rimasto anche leggermente meravigliato che Matteo non lo avesse invitato presso quel suo amico ma pensò che forse aveva delle buone ragioni e non toccava a lui giudicare. Con amarezza guardò le strade fangose del paese, le capanne di paglia, vi era un acre odore di bruciato che dominava il borgo, di recente doveva esservi stato un grande incendio, la poca gente che passava era spaurita.
“Mi fermerò solo una notte, questo luogo è molto triste” pensò il medico e vista una chiesa in costruzione si fermò, legò il cavallo ed entrò nel vasto ambiente. I muratori erano in pausa, distesi su un praticello mangiavano un pastone giallo con del pane nero, la borraccia del vino passava da operaio a operaio. Con scarso interesse videro il medico entrare in chiesa e pensarono che fosse un architetto. La chiesa era in costruzione, da una parte vi era un muro, da un’altra delle assi di legno, dappertutto impalcature, travi, mattoni, badili, calcinacci. Una parte era già finita e sul muro vi era uno splendido affresco. Gabriel si avvicinò: vi era rappresentato un santo nel deserto, le linee erano di bellezza senza eguali, i colori lucenti, il viso del santo maestoso, ieratico, un po’ fisso, gli occhi scuri guardavano chi lo guardava. Il pittore, in alto sull’impalcatura, stava rifinendo un cielo stellato che eguagliava in beltà la figura del santo o eremita.
Gabriel sospirò. Era incantato dall’affresco e al tempo stesso era diventato melanconico: “Quest’opera mi sopravviverà” pensò “Uomini e donne di tempi che io non posso neppure immaginare verranno a vederlo, mi chiedo se lo vedranno come io lo vedo adesso…che cosa proveranno? Chissà se questi colori scintillanti renderanno felici anche loro come rendono felice me ? o forse saranno scoloriti…il Tempo li cangerà, eserciti forse bivaccheranno qui, incuranti del bello, forse questa chiesa non resisterà nei secoli…che peccato!”
“Vi piace la mia opera?” gli chiese una voce allegra alle sue spalle.
Gabriel si volse e vide un ragazzo bruno, alto e magro, che sorrideva. “
Moltissimo. Siete voi il pittore?”
“Sì, sono io” rispose il ragazzo e rise.
“Siete così giovane e già avete tanto talento?”
“Ho già trent’anni” rispose il pittore continuando nel suo tono ilare.
“Che domanda da vecchio che ho fatto.. .eh, ho compiuto 42 anni” pensò l’elvetico.
“Dovrò lavorarci molto e già mi chiamano a Lucca e a Siena per altre opere…” disse Gualtiero da Vitale “fare il pittore vuol dire faticare anche se per me affrescare è una gioia”
“E’ un dono di Dio un simile talento” disse Gabriel.
“Eravate tanto assorto che non vi siete neanche accorto che ero sceso dalle assi…siete un artista ?” “Purtroppo non lo sono”
“Ma non siete neppure un mercante…avreste una gran pancia, gote rosse e un’aria soddisfatta e non pensosa come avete”
Gabriel sorrise.
“Non siete neppure un nobile. Sareste altezzoso e mi avreste detto: Perché non avete ritratto me al posto di codesto bifolco? ” Entrambi risero.
“Non sono un mercante e neppure un nobile ma…”
“Lasciatemi indovinare! ” lo interruppe Gualtiero “Mi sto divertendo molto…non siete un amministratore di soldi, avreste gli occhi stretti a forza di contar monete e sareste secco come un albero”
“Infatti non lo sono”
“Però non siete povero, sareste troppo preoccupato per avere il tempo di entrare in una chiesa in costruzione”
“Ho quanto mi basta”
“Non avete moglie altrimenti sareste di cattivo umore, le mogli comandano i mariti’
“Non tutte le mogli sono come le descrivete” mormorò Gabriel.
“Non conoscete le donne ! Io le corteggio solo per vedere fino a qual punto giunge la loro follia” disse Gualtiero.
Gabriel arrossì vivamente.
“Non siete un musicista. Sareste languido e perso in melodie come un mio carissimo amico spagnolo”
“Conoscete uno spagnolo ?”
“Sì, anche voi ?”
“Siete forse straniero ?” chiese il pittore.
“Si, lo sono”
Non certo spagnolo, non avete il modo tuonante”
“Non tutti gli spagnoli sono…”
Gualtiero lo interruppe di nuovo:
“Neppure francese, non avete l’alterigia.. .e neppure arabo, non avete l’ardito passo moresco…forse siete alemanno ?”
“Il mio nome è Gabriel L’Alemanno ma non vengo da quella contrada ma dall’Elvezia”
Gualtiero gli batté una mano sulla spalla: “Ecco svelato tutto ! Siete sobrio nel bere e nel mangiare ?”
“Lo sono”
“Siete un medico, allora!”
“Come fate a saperlo ?”
“Solo i medici osservano attentamente chi hanno difronte per scoprire le malattie”
“Siete uno spirito sagace” osservò Gabriel.
Nonostante Gualtiero fosse troppo ciarliero e Gabriel assai riservato i due uomini fecero un po’ di amicizia.
Il soggiorno a Santa Maria fu più lungo del previsto anche perché Gabriel era stanco di viaggiare.
Un giorno nella locanda dove era alloggiato Gabriel ricevette un messaggero.
Era un napoletano con il viso arrossato, frettoloso, di poche parole ed affaticato.
“Forse il cuore vi fa male ?” gli chiese Gabriel prendendo la busta sigillata su cui riconobbe la bella calligrafia di Gutierrez.
“Sì, Signore” rispose Corrado Antico.
“Aspettate ho un rimedio per voi. Sono un medico”
Il messaggero sospirò vedendo il gentile signore prendere una boccetta .
“Qualcosa vi ha nociuto negli ultimi tempi ?”
“Eccome ! Mi hanno tenuto in carcere a Roma senza alcuna cagione ! Mi duole il cuore ma anche l’anima !” esclamò Corrado Antico che rilasciato dalle carceri pontificie aveva ripreso il suo lavoro.
“Prendetene dieci gocce la sera, è solo aglio e alcune erbe del mio paese” disse affabilmente Gabriel.
“Vi ringrazio, Signore” rispose Corrado Antico con un inchino e corse al suo destriero, aveva altri messaggi da consegnare.
Gabriel con grande commozione aprì la busta, prese la lettera e lesse:
“Carissimo Gabriel, ti scrivo come non si dovrebbe mai fare in gran fretta, sto per partire da Firenze. Mio cognato, Miguel, diletto fratello di Vereda, si fidanzerà con Violante, una fanciulla saggia a quel che sembra. Sono impaziente di giungere nelle Romagne dove abita codesta fanciulla e di veder la sua felicità e quella di Miguel che dopo tante tribolazioni merita gioia e fortuna.
Credevo che tu fossi nella tua vallata a scovare rimedi per i mali di noi mortali e invece mi hai scritto che sei in un borgo ignoto che non trovo su alcuna mappa.
Mia figlia è nata! Vereda ha voluto darle il nome di Francesca. Assomiglia moltissimo a Vereda ed è bella, ha ogni grazia, è sana e di grande intelletto.
Mi hai scritto che sei stato a Napoli e hai rivisto Madonna Isabella e il caro Matteo L’Alchimista.
Che buone nuove ho avuto e come ti sono grato per quello che mi hai dolcemente scritto.
Ho sempre avuto affezione per Madonna Isabella da quando la conobbi come madre superiore delle Pie Dame.
Nella tua lettera mi avevi domandato nuove di Messer Giovanni. Purtroppo non ne ho alcuna…”
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