“Il giovane senza nome”. Cap. 34
In esclusiva per GayRoma.it il romanzo di Lavinia Capogna ©
A mia madre
Capitolo 34

Molti abitanti del borgo aspettavano di essere ascoltati dal Duca di Quadri, anche detto ‘L’Ottuso”. Tra di loro vi era anche Judith. I soldatacci dell’Ottuso si aggiravano nel palazzo così come prima si erano mossi nelle grandi sale quelli di Fino del Malpasso. Appena L’Ottuso era trionfalmente entrato nel paese il vescovo Albino aveva celebrato una messa per ringraziare Dio per averli liberati da Fino e in onore del nuovo padrone. Tutti gli abitanti erano stati obbligati ad andarci, solo Judith era stata assente ma L’Ottuso non aveva fatto fare nulla contro di lei.
In attesa dell’udienza vi erano molti uomini e poche donne e tutti avevano un regalo. Per sconfiggere la noia chiacchieravano vivacemente tra di loro, si scambiavano notizie, pettegolezzi, raccontavano infinite volte la supplica che avevano da fare, si scagliavano contro Agnolo.
Nonostante fosse stato il capitano l’involontario artefice della presa del potere dell’Ottuso era stato condannato a morte perché era un pericoloso ribelle, un violento che aveva quasi ammazzato Wilfredo, il quale invece se l’era cavata bene, aveva solo qualche dolore ma neppure un osso rotto ed era stato nominato soldato dall’Ottuso. Con vanagloria se ne andava in giro per il borgo con una nuova divisa, diversa di colore, l’espressione avvinazzata e sempre pronto a far soprusi.
Dopo poco tempo Judith poté entrare nello stesso salone dove era stata ascoltata da Fino ma lo riconobbe a stento: un lusso che la fanciulla non aveva mai visto era adesso la nota predominante della sala, comodi cuscini di tessuti pregiati erano ovunque, mobili possenti, oggetti d’oro, tende di velluti, tappeti d’Arabia e un buon profumo di spezie. L’Ottuso era placidamente adagiato su ampi cuscini, era grassissimo, indossava un abito sfarzoso e con un benevolo sorriso accolse la fanciulla.
“Figliola, in che cosa posso esserti utile ?” chiese con tono garbato.
“Signore, mio marito giace ingiustamente in carcere da molti mesi, vi supplico di liberarlo !”
“I patimenti di questo borgo sono stati così tanti… ascolto sempre cose terribili. Di che cosa è stato accusato il tuo sposo ?”
“Di aver percosso due uomini ma in verità i due incominciarono per primi, mio marito è l’uomo più buono e caritatevole del mondo” disse Judith e rivide gli occhi azzurro verdi di Giovanni.
“Non ne dubito, cara figliola” disse L’Ottuso con un sorriso comprensivo “come si chiama il tuo sposo ?”
“Messer Jehan”
L’Ottuso batté le mani e subito entrò un paggio vestito di giallo. Portava un grosso libro, pieno di macchie di inchiostro.
“Ora rimedieremo al vostro affanno” aggiunse L’Ottuso.
“Messer Jehan ?” chiese il paggio giallo che evidentemente aveva ascoltato la supplica.
“Sì”
“Desiderate sedervi, figliola ? ” chiese L’Ottuso.
“Grazie”
Judith si sedette, il cuore le batteva molto forte, era agitata. Desiderava più di tutto al mondo che Giovanni fosse liberato. Finalmente il paggio trovò il nome e porse con grazia il grosso libro al suo signore. L’Ottuso lesse e poi guardò Judith.
“Sono afflitto, figliola”
Istintivamente Judith si alzò, la vista si annebbiò, sentì cedere le gambe.
“Messer Jehan , provenzale, è morto il 2 marzo” disse L’Ottuso.
Se una freccia avesse colpito Judith le avrebbe procurato meno dolore. Si sentiva come un pesce vivo fuori dal mare e prima che potesse dire nulla fuggì dal palazzo. I supplicanti in attesa la guardarono, i soldati non le impedirono la fuga.
“E’ lo scherzo più divertente che ho mai fatto !” esclamò compiaciuto L’Ottuso.
“Quella sciocca ci ha creduto ” disse il paggio giallo.
“Così la prossima volta verrà in chiesa a rendermi omaggio” disse offeso il tiranno. Il potere con la maschera della cortesia era non meno spregevole della freddezza di Fino o della tracotanza di Antoniazzo prima del suo cambiamento.
Il mattino seguente era prevista l’esecuzione della condanna a morte di Agnolo.
Giovanni si svegliò prima di Agnolo. Era disperato. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvarlo. Tra i due era nata una grande amicizia. Giovanni aveva tentato di insegnare Agnolo a leggere e a scrivere e aveva tracciato l’alfabeto sul muro, incidendolo con l’unica posata a disposizione, il cucchiaio della minestra che era sempre lo stesso e non veniva mai lavato.
Agnolo aveva difficoltà ad imparare e saputo della condanna aveva detto: “È inutile, Jehan, continuare, saper leggere e scrivere non mi servirà più a nulla”.
Il provenzale era scoppiato a piangere.
Quando Agnolo si svegliò Giovanni lo raggiunse. Il soldataccio di Antoniazzo era scosso e fuori di sé.
“Ho paura” disse.
Giovanni lo baciò sulla fronte.
“Finirò all’Inferno”
“No, vi siete pentito !”
“Ma ho commesso tante male azioni e lassù sono tutte scritte” mormorò Agnolo.
“I peccati scarlatti diventeranno bianchi come la neve, così è scritto nel libro sacro” disse Giovanni.
“E se invece l’Inferno non esistesse come credeva Antoniazzo ?” disse dopo una pausa Agnolo “Non sarebbe ancora peggio ? Le stagioni continuerebbero ad esistere ma io non saprei nulla né dell’estate, né dell’inverno, voi vivrete ma io non potrò confidarmi con alcuno o aiutarvi, le donne saranno belle e gradevole sarà amarle ed essere amato ma io non ne amerò più nessuna e nessuna mi amerà, il Sole non mi scalderà e la neve non mi farà più tremare…”
Giovanni piangeva, avrebbe voluto confortare l’amico ma non aveva più parole.
“Jehan io conosco il segreto che celate, voi siete una fanciulla” disse pianissimo Agnolo.
Giovanni lo guardò sorpreso.
“Lo so perché nessun uomo mi avrebbe confortato come avete fatto voi”
“É vero, io sono una fanciulla, il mio nome è Eleonora” ammise Giovanni.
“Ma voi siete anche stato il mio unico amico insieme a Valente, morto in guerra…temo la morte ma ha già preso Valente…non dovrei” disse Agnolo
Alcuni soldati entrarono e lo afferrarono.
Nella piazza tutto era pronto per l’impiccagione. C’era tutto il borgo eccetto Judith ed Alidora. Stretti nella folla feroce c’erano anche Gabriel L’Alemanno e Gualtiero da Vitale. Era stato il pittore a voler assistere alla condanna, aveva in mente di ritrarla in un affresco ed era attratto dall’idea di vedere il rivoltoso.
Gabriel lo aveva seguito assai di mala voglia: l’unica morte che a stento tollerava era quella naturale. Con orrore ascoltava alcuni abitanti del borgo parlare di una vendita ben riuscita, incuranti della Morte che passeggiava nella piazza.
Quando i soldatacci portarono fuori Agnolo vi furono grida. Agnolo si dibatteva con tutta la forza che gli restava in corpo. Gabriel da lontano non riuscì a vedere la faccia del rivoltoso e non riconobbe il soldataccio di Antoniazzo ma quella visione di pecora portata al macello lo fece infuriare. Seguendo l’istinto si fece largo tra la folla con tanta energia che fu fatto passare, sentiva un’energia incredibile e prese ad arringare la folla:
“Sono Gabriel L’Alemanno ma vengo dall’ Elvezia. Sono un medico e ho curato poveri e ricchi, nobili e plebei, religiosi e no, italiani e stranieri. Conosco le teorie di Ippocrate e del grande dottore Mohammed che al di là del mare cura gli incurabili”. l’Ottuso si affacciò per vedere chi stesse parlando nella piazza ed altrettanto fecero i soldatacci e il paggio giallo.
“Questo condannato ha una malattia mortale, ho visto il suo volto e il morbo di cui è affetto non lascia scampo, chiunque lo avvicini muore di morte certa. Il contagio è grandissimo. Noi tutti moriremo entro qualche ora !” gridò l’uomo vestito di grigio, con riccioli biondi e grigi, spettinato e furibondo.
In un attimo la folla scappò via, tutti urlavano, bestemmiavano, il palazzo dell’Ottuso venne serrato, il vescovo Albino si vide già trapassato ed invocò Dio.
Gualtieroz che era stato quasi travolto dalla folla era senza parole. Gabriel aveva preso per il braccio il condannato e più veloce dei fulmini che varcano il cielo i tre uomini rubarono tre cavalli e come forsennati uscirono al galoppo da Santa Maria.
Il paese era nel terrore. Tutti si credettero in punto di morte. Appena si seppe che un contadino era morto delirando e poche ore dopo una donna e poi un soldataccio vi fu la certezza della fine. Cera chi pregava ed invocava il perdono. Chi scagliava maledizioni al cielo. Chi taceva. Chi urlava come un ossesso.
Un muratore morì il mattino seguente : il morbo inesistente mieteva vittime. In realtà il muratore per colpa del troppo vino bevuto in sessant’anni.
L’Ottuso ordinò di uccidere il provenzale che era stata la persona più a contatto con Agnolo.
“Ma se uccidiamo un innocente Dio ci punirà domani” disse cupamente il paggio giallo. L’Ottuso ordinò allora che il prigioniero fosse lasciato libero e che dovesse lasciare immediatamente il borgo. Giovanni non incontrò nessuno al suo passaggio. Neanche soldati di guardia all’entrata del paese. Quella notte poté rientrare e corse a tirare sassolini contro la casa di Alidora. La vecchia si affacciò ma non ebbe cuore di fuggire dalla finestrella.
“Dove è Costanza? ” disse Giovanni affannato.
“Non lo so, è fuggita appena il morbo ha invaso il borgo, di certo è morta” rispose piangendo la vedova.
Era l’alba e Giovanni era disteso su un prato, vicino scorreva un ruscello.
La Morte lo osservava.
Da molte ore giaceva a terra, vinto dal dolore per la morte di Judith e cercava un modo per attuare il suo piano. Messer Giovanni voleva morire ma prima sembrava che doveva piangere ogni lacrima che aveva nell’anima. Pochi lo avrebbero riconosciuto: il colore del viso era grigio, gli occhi erano spersi e non vedevano nulla, tutto il corpo gli faceva male.
Il luogo era bello e il prato era pieno di fiori, il ruscello scorreva freddo accanto al fanciullo.
“Chi sono io?” diceva Giovanni a voce alta “Mio padre non l’ho mai conosciuto, mia madre è malata in Britannia, Agnolo è morto e…colei che amo infinitamente è morta. Solo ora so quanto ti amo Judith”
La Morte osservava Giovanni.
“Mai più rivedrò Isabella che aveva il dono di comprendermi, né Gutierrez che rese bella la mia solitudine… perché vivo? Perché io vivo e Judith no ? Io voglio la risposta ! ” gridò. L’erba taceva, i fiori tacevano, il ruscello taceva, gli uccelli tacevano, la luce taceva.
Giovanni non sapeva che accanto a lui Abele, il musico, piangeva lacrime senza lacrime e Maria aveva l’insondabile tristezza di alcuni morti giovani. Entrambi tacevano.
“Io non ho saputo proteggere Judith. Sarebbe stato meglio se avesse sposato quel notaio, se io non fossi mai entrato nella bottega del sarto, se non fossi nato ! “.
Se avesse avuto una corda Giovanni si sarebbe impiccato ma non aveva nulla.
Tra le lacrime, tra le invettive che gettava verso un Dio silente, tra le frasi sconnesse qualcosa riemerse alla memoria:
“Chi vuole prenda la sua croce e mi segua” così aveva detto Gesù di Nazareth.
Giovanni pianse a lungo, scosso da un tremore grande, pianse senza tregua.
Alcune formiche salirono sulla sua bella mano tra l’erba ed egli le vide. Sentì i raggi del sole ricoprirlo, ascoltò il lieve vento.
“Il dolore.. .avrei voluto che a me fosse risparmiato. Ma perché io solo tra moltitudini di esseri viventi sarei dovuto essere privilegiato ? Avrei voluto essere sempre lieto ma non viviamo tutti nel dolore ? Gli stolti come Antoniazzo o Fino si credono al di sopra del dolore ma non lo sono. E non sono stato anche io stolto a credere che non vi sarebbe stato dolore per me ? Il Cielo mi mandò Judith . E’ Judith colei che cercavo…” disse esausto Giovanni e cadde in un sonno senza sogni.
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